Attraversare gli anni di
piombo a Milano, in forza
alla III sezione antiterrorismo
della Digos, senza sparare
un colpo e senza rimetterci la
pelle, è stata la grande impresa
di Claudio Bachis, “sbirro” di
professione, come semplicemente
ama definirsi. L’agente Bachis
ha appena compiuto 50 anni, di
cui 31 passati in polizia. È uno
dei tanti che appena maggiorenne,
con poche alternative, da Siliqua
ha imboccato la strada dell’arruolamento.
Il balzo dalla
profonda provincia al centro
metropolitano non ha avuto certo
un atterraggio morbido ma ha
proiettato Bachis nel cuore della
barricata. A tu per tu con
scampoli di storia italiana, come
quel giorno di aprile del 1981 in
via Varanini, poco distante dalla
stazione centrale di Milano,
quando “lo sbirro” catturò il brigatista
Mario Moretti.
Senza l’accompagnamento di
boatos e ballerine, qualche giorno
fa Bachis ha fatto sapere in
giro che è stato pubblicato il suo
primo libro. La sua onesta memoria
su questi sei lustri trascorsi
pericolosamente. Il titolo, appunto,
è Vita da sbirro (Robin
Edizioni, 129 pagine, 8 euro),
con la prefazione dell’ex ministro
della Giustizia Oliviero Diliberto:
“Adesso è facile, si dirà,
parlar bene da sinistra delle forze
dell’ordine. Ma allora, negli
anni di cui parla Bachis in questo
libro, quello era un argomento
tabù”. E aggiunge: “La sinistra
non pensa più – salvo qualche
caso isolatissimo – che i poliziotti
siano sbirri cattivi”.
Anche
perché Bachis non è certo il
prototipo di uno sbirro cattivo.
Dalla lettura del libro traspare
tutt’altro.
Fate le premesse d’obbligo,
“sono un servo dello Stato, e come
tale ho un sacco di nemici”,
Bachis rovescia immediatamente
il mito televisivo del superpoliziotto,
non separando mai il
ruolo dalla personalità e dalla
sua critica visione delle cose:
“Cercavo di capire il motivo e il
perché della scelta della lotta armata.
Più volte ho pensato che
se non fossi stato uno sbirro probabilmente
avrei potuto essere
dall’altra parte della barricata.
E non venitemi a dire che i brigatisti
erano manovrati dai Servizi”.
Meglio Camilleri del “Distretto
di polizia”, meglio definirsi
con Pasolini, “figlio del proletariato”,
in guerra con ordinaria
desolazione e disoccupazione
cronica.
Diventare guardia di pubblica
sicurezza nel ’76 significava “alloggiare
in una camerata con otto
colleghi” e fare la doccia all’aperto:
“Di fronte alla mia Com-
A
pagnia, la Seconda, sorgeva una
fabbrica e tutte le sere si sentivano
acri odori di sostanze chimiche
mischiate alla nebbia”.
I miti
di Bachis, ragazzo poliziotto,
sono Che Guevara e Bob Marley,
ma pure Enrico Berlinguer ed
Emilio Lussu. Icone scomode in
caserma, allora più che mai. La
riforma della polizia dell’81 era
ancora lontana e la sola immagine
dell’Ernesto rivoluzionario
poteva sortire brutti effetti: “Un
pomeriggio un pazzoide in divisa
da poliziotto, infuriato per un
poster del Che appeso alla parete
della camerata, impugnò l’arma
in dotazione e sparò un colpo
che andò fuori bersaglio”.
Mettere d’accordo tensione civile
e spirito critico con la divisa,
all’agente di Siliqua è costato
non fare carriera e subire trasferimenti.
Ma Bachis i galloni li
guadagnerà sul campo. Il 4 aprile
1981 alla questura di Milano
arriva la soffiata che Mario Moretti,
super ricercato delle Br, si
trova in città: “Alle 14,30 Moretti
e Senzani vengono avvistati e
pedinati, fiancheggiano via Venini,
proseguono per via Varanini,
finché ce li troviamo di
fronte”. Il poliziotto sardo si
stacca dal gruppo dei colleghi,
aggancia Moretti per le braccia,
“c’è una breve colluttazione e lui
ha la peggio, sanguina dal naso.
Gli viene sfilata una Browning
calibro 9”. In questura Bachis
tenta di scusarsi con Moretti per
il cazzotto, “ma lui, educatamente
e freddamente, mi fa capire
che non era sua intenzione aprire
bocca”. Gli agenti impegnati
nell’arresto dei brigatisti furono
premiati con trecentomila lire.
Nel 1987 Bachis tornò in Sardegna:
prima alla questura di
Oristano e poi a Cagliari. Nel ’90
si mischiò agli universitari della
Pantera e in assemblea votò a
favore dell’occupazione. I tempi
di Milano erano lontani anni luce.
Vita da sbirro è dedicato ai
poliziotti caduti negli anni del
terrorismo, ma anche “ai morti
che stavano dall’altra parte della
barricata”.