The revolution will not be televised

(9 settembre 2011) Gil Scott-Heron era una grande mente, poeta, musicista, attivista afroamericano, nato a Chicago nel 1949. E' morto a 62 anni il 27 maggio scorso in un ospedale newyorkese. Testimone scomodo degli ultimi quarant'anni di storia americana, figlio di un giocatore di football, fu attratto dal movimento Harlem renaissance e soprattutto dal guru Langstone Hughes. Il suo esordio risale al 1969 con il libro The vulture, e poi, l'anno dopo con il primo disco, Small Talk at 125th & Lenox AveLa lotta dura per il riconoscimento dei diritti civili dei neri d'America, Scott-Heron, la fatta tutta. "La rivoluzione non sarà trasmessa in televisione", gridava il titolo di una delle sue composizioni più celebri, "the revolution will be live". Oggi, a parte qualche ricordo d'obbligo, poco si parla di Gil Scott-Heron. Forse perché il poeta era appena uscito da un periodo tormentato della sua vita, tra carcere, droga e alcolismo. Forse perché il suo pensiero indipendente non risultava più funzionale alle logiche del new-new deal statunitense. La trasmissione di Radio 2, Moby Dick, ha rispolverato solo dopo la sua morte, il 31 maggio, una bella intervista realizzata a luglio 2010 e mai andata in onda prima (ho salvato il file audio e qui lo ripropongo: minuti 36,10 – 57,18). Rispondendo alla domanda, "Che stagione attraversa adesso il suo Paese", Scott-Heron diceva: "C'è ancora tantissimo da fare, non basta gridare al miracolo il primo giorno di primavera, non basta che sia stato eletto Obama". La vera rivoluzione, per Gil Scott-Heron, risiede nel cambiamento, e il cambiamento "si esprime prima di tutto nella testa delle persone".

(walter falgio)