Deposta e sepolta la disperata
critica delle armi, oggi
Renato Curcio preferisce
imbracciare le affinate armi
della critica. Parla di carcere,
istituzioni totalizzanti, ospedali
psichiatrici giudiziari e di chi vive
quotidianamente la
detenzione. Parla e scrive
di questo per la casa
editrice da lui diretta,
Sensibili alle foglie. Richiama
folle in tutta Italia
quando partecipa a
dibattiti su ergastolo, indulto,
marginalità sociale.
Come è successo pochi
giorni fa a Dolianova
durante la Festa di Liberazione.
Oggi Renato Curcio è
un intellettuale che non
vuole rimuovere il suo
passato più vorticoso,
«non potrei affrontare i
problemi del carcere
senza il bagaglio della
mia conoscenza diretta
», e che da anni, assieme
ad altri ricercatori,
sta promuovendo la
raccolta di documenti,
dati e testimonianze sull’esperienza
armata di
sinistra.
Un’iniziativa
chiamata “Progetto memoria”
«fondata su rigorosi
criteri espositivi
e non interpretativi»,
specificano dalla casa
editrice, che ha portato
alla pubblicazione di
cinque volumoni preziosissimi
per capire la storia d’Italia
tra il ’69 e l’89. Curcio preferisce
questo paziente e complesso
lavoro di scavo a una semplice
autobiografia, che, secondo
lui, non interesserebbe a nessuno.
Desidera spiegare che cosa
significa stare dentro una cella
di massima sicurezza o su un
letto di contenzione. E lo spiega
attraverso la viva voce di ergastolani
come Annino Mele o detenuti
psichiatrici come Vito De
Rosa.
Dietro a un banchetto tappezzato
dai libri di Sensibili alle fo-
D
glie, lo storico fondatore delle
Brigate rosse si attarda con il
pubblico.
Poi comincia il dibattito
al quale partecipano anche
don Ettore Cannavera della Comunità
“La Collina”, il consigliere
regionale di Rifondazione comunista
Paolo Pisu e il dirigente
nazionale del partito Gennaro
Santoro. Curcio spiega che il
carcere non è una struttura univoca
dove deve essere tutelato il
senso di umanità, come vorrebbe
la Costituzione. Parla di forme
diverse di detenzione. Da
quella nelle prigioni segrete, vedi
Abu Omar, a quella nei centri
di permanenza temporanea che
lui definisce «campi di concentramento
per cittadini indesiderati
». Altra forma tra queste è
la detenzione nelle carceri di
Stato. E qui Curcio va giù duro:
«Il carcere è un luogo al di fuori
del sistema dei diritti, dietro le
sbarre vale piuttosto il sistema
dei privilegi». Che significa: «Se
rispetti le regole e ti comporti
bene puoi usufruire dei benefici,
altrimenti peggio per te».
A questo punto si spalancano
le porte della Cayenna: «Io ho
avuto la fortuna di finire in carcere
nel ’74», continua ironicamente
Curcio, «cioè un anno
prima della riforma. Dopo un
conflitto a fuoco, ferito ad una
spalla, mi sbattono in una cella
senz’acqua né servizi igienici, al
posto del water, il bugliolo. Avevo
la terribile sensazione di essere
precipitato indietro nel
tempo di 300 anni».
Poi sono arrivate le carceri
speciali, l’Asinara in primis con
il suo bunker, e i trasferimenti di
massa coordinati dal generale
Dalla Chiesa di brigatisti, nappisti,
mafiosi.
La rivolta di Fornelli
contro l’“articolo 90”, padre
del 41bis. Curcio ha vissuto da
vicino queste vicende, ma sorvola:
«Il carcere oggi si articola
in tre livelli. Un circuito di custodia
attenuata per reati minori
dove sono concessi i
pacchi, i colloqui, le telefonate;
un altro di media
sicurezza dove i diritti
che diventano privilegi
sono limitati, sino
ad arrivare al fondo, il
41bis, dove il mondo finisce
e resta la solitudine
». Curcio conclude e
si fa avanti Cristiano
Scardella, fratello di Aldo,
il 24enne cagliaritano
morto in carcere il 2
luglio 1986. Parla al microfono,
poche parole:
«Vogliamo capire perché
e come Aldo è stato
arrestato, quali sono le
cause della sua morte e
stiamo ancora aspettando
le scuse ufficiali dalle
istituzioni».
Da Dolianova alla
“Collina” di Serdiana il
passo è breve. Terminato
l’incontro, Renato
Curcio è ospite della comunità
di don Ettore e
cena con i ragazzi in affidamento.
Ci sono giovani
marocchini, rumeni,
e si parla di indulto:
«Come è possibile rimettere
in libertà un immigrato
che fuori di qui
non ha alcun appiglio? In Collina
almeno lavora e segue un
percorso di reinserimento sociale
», lamenta Cannavera. Curcio
annuisce, osserva i ragazzi
che sono stati preparati alla visita
d’eccezione, i ragazzi osservano
lui tra curiosità e timidezza.
Forse non si aspettavano
che l’icona di una stagione
cruenta e oramai tramontata,
con quasi sei lustri di cella sulle
spalle, fosse questo signore di
65 anni, canuto, cordiale e per
nulla rassegnato.