L’Italia dei segreti

(24 maggio 2012) Qualche giorno fa ho avuto il piacere e l’onore di coordinare un interessante dibattito promosso a Cagliari dall’associazione “Antonio Gramsci” nell’ambito di un ciclo di iniziative su cultura, politica e società nell’Italia del dopoguerra. Per l’occasione è stato presentato da Gianni Fresu e da Vindice Lecis il libro di Nicola Tranfaglia (con Anna Petrozzi), La Colpa. Come e perché siamo arrivati alla notte della Repubblica. L’autore era presente e ha risposto a numerose domande del pubblico.

Alcune riflessioni a margine dell’iniziativa. 

Sul generico titolo “misteri d’Italia” e sulle trame oscure in era repubblicana circolano da tempo svariati materiali. Cito solo alcuni titoli di qualità che hanno aperto, sostenuto e difeso quelle che un tempo si definivano, contro indagini, su temi socialmente e politicamente di grandissimo rilievo.

Richiamo il lavoro collettivo e anticipatore, La strage di stato – Controinchiesta del 1971, Piazza Fontana di Giorgio Boatti del 1993, I servizi segreti in Italia di Giuseppe De Lutiis, pubblicato per la prima volta nel 1998. Ma anche i lavori di Nico Perrone, Corrado Stajano con il suo libro su Giorgio Ambrosoli, Malpaese di Alessandro Silj. Evidentemente l’elenco potrebbe continuare.

Lo studio di Nicola Tranfaglia, La Colpa, arricchisce questo panorama e svela nuovi scenari sugli ultimi 70 anni si storia politica italiana con straordinaria forza divulgativa e con l’acribia del grande ricercatore. Il metodo dell’intervista e lo spessore dell’indagine, infatti, conferiscono al libro uno spessore non comune.

Nicola Tranfaglia nelle prime righe invoca l’apertura di una nuova fase che consenta nel nostro Paese di fare chiarezza “sui misteri e sulle tragedie che hanno caratterizzato 70 anni di storia” e che  soprattutto hanno impedito il cambiamento.

Il controcanto di questo auspicio, purtroppo, sembra che riecheggi nella sentenza del 14 aprile scorso con la quale la Corte d’Assise d’Appello di Brescia assolve Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Delfo Zorzi nel quarto processo sulla strage di Piazza della Loggia. I Pm titolari dell’inchiesta hanno dichiarato serenamente che questa vicenda va affidata alla storia e non più alla giustizia.

Una considerazione forte, e forse rassegnata, benché, per richiamare un popolare pamphlet di Carlo Ginzburg, “uno storico ha il diritto di scorgere un problema là dove un giudice deciderebbe un non luogo a procedere”. È una divergenza importante – osservava l’intellettuale torinese – “che però presuppone un elemento che accomuna storici e giudici: l’uso della prova”.

Come si potrà evincere dal libro La Colpa, di prove, o meglio, fonti, il professor Tranfaglia ne produce molte. A partire da quelle custodite negli archivi d’oltreoceano, The National Archives statunitensi, o negli archivi dell’Office of Strategic Services, l’organizzazione madre della Cia che così tanto ha condizionato le scelte della nostra democrazia nascente nell’immediato dopoguerra. Si tratta spesso di materiali desecretati negli ultimi anni. Perché difficilmente le carte di casa nostra potranno aiutare a vederci chiaro.

Il quadro che emerge è ben sintetizzato da quel rapporto paradigmatico tra il capo del controspionaggio americano in Italia nel 1945, James Angleton, e il capo della flottiglia Xa Mas, Junio Valerio Borghese, il principe nero. Che cosa c’entra un agente segreto alleato con un aderente alla Repubblica di Salò che combatté al fianco dei tedeschi? Tranfaglia lo spiega molto bene e altrettanto bene e con immediatezza lo rappresenta, cinematograficamente, Paolo Benvenuti nel suo Segreti di Stato (di cui lo stesso Tranfaglia è non a caso consulente storico) allorquando la figura barbuta del costituente e deputato comunista siciliano, Giuseppe Montalbano, ricostruisce con un castello di figurine il quadro di compromissioni, depistaggi e complicità che sta dietro alla strage di Portella della ginestra.

Questo quadro negato, taciuto, nascosto da un segreto di stato che nella storia repubblicana italiana ricorre sino a diventare patologico, rappresenta uno delle ipoteche più pesanti sull’esercizio della democrazia.

(walter falgio)