L’anatema si fa cultura

Capitò intorno al 1850 che tutti gli
abitanti di Masullas, paesino dell’Alta
Marmilla, fossero fulminati
dalla terribile scomunica di Predi
Antiogu. In questi casi la chiesa
era parata di nero, i ceri gialli riservati
ai giorni di gran dolore sostituivano
quelli bianchi. Le campane suonavano a lutto
tutto il giorno e tutta la notte terrorizzando
il villaggio. «Non è facile descrivere lo
spavento che regnava tra il popolo. Dovunque
si attendeva con un vago terrore, con
un’angoscia mortale, la sentenza che doveva
togliere i colpevoli dal numero dei cristiani
», descrive in Pastori e banditi Emmanuel
Domenech riferendosi a un episodio accaduto
a Putifigari. Il prelato aveva il potere di
diffondere nella piccola comunità una pesante
aria inquisitoriale con sadismo e premeditazione,
sferrando dal pulpito orribili
maledizioni.

Ma la causa di una simile pena,
nella vicenda di Masullas, non è legata a indicibili
fatti delittuosi. Il religioso commina
l’estremo castigo perché lui stesso ha subito
un furto di bestiame. Sono sparite «dodici
capre, quattro pecore figliate, tre pecore da
latte». E ancora, un agnellino e tre caproni.
Sui colpevoli dovranno cadere i peggiori
anatemi. L’elenco di questi è lungo e colorato
con tutta la fantasia popolare possibile:
«Per tutto ciò che avete fatto, che tutti i cani
da cortile vi corrano dietro e vi raggiungano
dove siete». Che i ladroni siano bruciati vivi
da una passata di tuoni, che crolli la loro casa,
che siano costretti a camminare in ginocchio,
che siano lapidati, sbranati dai cani,
storpiati sulla strada. E addirittura: «Ogni
volta che andate a cercare donna altrui, come
i cani accoppiati rimaniate tutti e due».
Sa scomuniga di Predi Antiogu arrettori
de Masuddas è passata alla storia perché è
un’opera letteraria in lingua sarda di pregio
e di larga diffusione sin dalla fine dell’Ottocento.
Pubblicata anonima per la prima volta
nel 1879 dalla Tipografia del Corriere di
Sardegna è arrivata sino a oggi nella recente
edizione critica curata da Antonello Satta
per S’Alvure. Perfino Antonio Gramsci in
una lettera dal carcere alla mamma del 27
giugno 1927 chiedeva che gli fosse spedita
«la predica di fra’ Antiogu a su populu de
Masuddas».

Il grande intellettuale suggerisce
alla madre di acquistare il libro a Oristano,
nella tipografia di Patrizio Carta: «Poiché ho
tanto tempo da perdere, voglio comporre
sullo stesso stile un poema dove farò entrare
tutti gli illustri personaggi che ho conosciuto
da bambino. Mi divertirò molto e poi
lo reciterò ai bambini». Pare che Sa Scomuniga
non arrivò mai a Gramsci. In compenso
gli fu recapitata la predica di predi Poddighi,
«che non è molto divertente. Certo non
c’è l’umorismo fresco e paesano di quella al
“populu de Masuddas”», commenta, ricordando
a memoria interi brani dell’opera.
Ma la notorietà della Scomunica è provata
anche da un saggio del linguista Max Leopold
Wagner che riporta il testo in sardo da
un’edizione del 1892, «correggendone soltanto
l’interpunzione e accorciandolo di ventuno
versi che gli risultano incomprensibili e
poco importanti», sottolinea Antonello Satta.
Wagner nella sua opera del 1942 definisce la
Scomunica un “monumento psicologico”
dalla vis comica irresistibile.
I giudizi sull’opera continuano a essere positivi
anche negli attuali lavori critici.

Considerata
uno dei migliori poemi in lingua sarda,
Sa Scomuniga trasmette soprattutto una
profonda conoscenza della cultura popolare.
L’anonimo autore «non è un poeta estemporaneo
che si affida all’imitazione della poesia
colta», spiega sempre Satta, ma è «un
intellettuale raffinato che riesce a portare la
poesia popolare nell’ambito della dignità artistica
». Dentro lo scritto ottocentesco dunque
non si colloca soltanto la precisa denuncia
del furto di bestiame e le impressionanti
maledizioni per i responsabili del misfatto,
ma si agita pure una comunità contadina
vista dal basso. Riemerge la quotidiana
fatica e le profonde miserie di un villaggio
C
della Marmilla in una Sardegna tardivamente
arcaica. Per il prete infuriato i masullesi
sono tutti «ladruncoli come il gatto, invidiosi
dell’altrui, poltroni come il cane. E quello
che sembra più tonto, coglie la mosca in
aria». Un popolo “sfortunato, temerario e
prepotente”.

Lo stesso don Antiogu è ingiustamente
accusato da questi sconsiderati di
indugiare spesso «a casa di comare Prudenzia
a fare la siesta». I passaggi sulla spudoratezza
delle donne sono tra i più divertenti.
Le signorine di Masullas non perdono la
decenza «solo quando vanno a Cagliari come
domestiche», ma si comportano allo stesso
modo anche in paese. Tanto che «totu su
logu e’ pringiu, e accanta de iscioppai». Ma
le ire di Antiogu probabilmente non scossero
più di tanto i birichini masullesi. Anche
perché si trattava di una comunità combattiva
e coraggiosa. Già sul finire del Settecento
durante i moti angioiani, il paese si leva
contro il suo barone e contro i privilegi di
cui godono nobili ed ecclesiastici. Il popolo
denuncia come eccessivi quasi tutti i tributi
pretesi dal feudatario, il marchese di Quirra,
per la coltivazione dei terreni e per il pascolo
del bestiame. Nel pieno della “sarda rivoluzione”
a Masullas si respira l’aria della
sommossa contro le ingiustizie feudali.

La scomunica perciò non avrebbe sortito
grandi timori e per di più si sarebbe potuta
interpretare come una delle frequenti e abituali
levate di scudi contro gli abigeatari. Lo
storico Lorenzo Del Piano ha ricostruito il
contesto nel quale si inquadra il poema del
vicario masullese. «Nella Scomuniga non saremmo
alieni dal cogliere echi risorgimentali,
né dal ravvisarvi qualche riferimento a noti
episodi degli anni ’50 e ’60 dell’Ottocento,
quali la scomunica fulminata da monsignor
Emanuele Marongiu Nurra, arcivescovo di
Cagliari, nel corso delle operazioni preliminari
all’abolizione delle decime».

È il clima
della diatriba tra Stato e Chiesa attorno all’annullamento
delle celebri imposte sul frutto
delle terre. È il clima delle scomuniche di
Pio IX contro tutti coloro che avevano varcato
Porta Pia, partecipato al processo risorgimentale
e alla spoliazione della Chiesa di Roma.
Compreso il re dell’unità Vittorio Emanuele
II. Anche se sul letto di morte ricevette
comunque il conforto dei sacramenti.
Placati gli animi e rinfoderate le spade, le
umoristiche invettive del fumantino Antiogu
hanno attraversato i secoli. Ora sono pure su
Internet, sul sito Prediantiogu.it, e sono diventate
il simbolo di una comunità che vuole
investire in cultura e promuovere la propria
identità.