Dostoevskij lo aveva profetizzato
nei Demoni: il
signor Shigaliov per risolvere
definitivamente
la questione sociale propose
«la divisione dell’umanità in
due parti diseguali. Una decima
parte riceve la libertà della
personalità e un diritto illimitato
sugli altri nove decimi. Mentre
questi devono perdere la
personalità e trasformarsi come
in una specie di gregge».
Per far ciò occorrono misure
«assai notevoli, fondate sulle
scienze naturali ed assai logiche
». Nel 1871, mentre in Germania
il nazismo era di là da
venire, lo scrittore moscovita
anticipava gli aspetti abominevoli
della deriva totalitaria novecentesca.
All’epoca la Kulturkampf,
battaglia anticattolica
della cultura voluta da Bismarck
per rafforzare la laicità
dello stato, stava per giungere
all’apice.
Il docente di Storia della matematica
alla Sapienza di Roma,
Giorgio Israel, a Cagliari
nei giorni scorsi per parlare di
pianificazione scientifica negli
stermini di massa del XX secolo,
intravede nel romanzo russo
un paradigma di incubi appena
trascorsi che prendono i
nomi di lager e di gulag. Israel
è molto chiaro, si esprime davanti
a una platea di studenti e
insegnanti invitati da Scienza
Società Scienza, un’associazione
che in occasione dell’anno
mondiale della fisica ha promosso
un nutrito calendario di
conferenze.
Quando non si accetta l’uomo
per quel che è, quando non si
tollerano la pluralità, i conflitti,
i limiti, è facile approdare a una
palingenesi totale della società.
La rifondazione del genere
umano, come la narra Dostoevskij,
è un ritorno alle origini.
Un’innocenza primordiale da
raggiungere attraverso una serie
di rigenerazioni. Il prefigurare
i tratti di un destino tenebroso
tutto dentro la coscienza
dell’uomo, secondo Israel, è
stato un grande insegnamento.
Ma soprattutto immaginare che
l’odio totale possa esprimersi
attraverso principi razionali
fondati sulla scienza, rappresenta
una chiara evocazione
degli orrori di Auschwitz e della
Siberia, sottolinea il matematico.
Accostare il totalitarismo fascista
a quello comunista è però
sempre rischioso. I due universi
astratti dai propri contesti
specifici, incasellati in una generica
par condicio della storia,
possono svuotarsi di oggettività.
«Esiste una naturale ripulsa
a metterli sullo stesso piano
», dice Israel, «in quanto non
bisogna dimenticare che il comunismo
è stato adiacente a
movimenti di emancipazione
degli oppressi nati per migliorare
la società». Tuttavia, entrambe
le ideologie, in determinati
casi, hanno individuato il
male nella democrazia, «sono
D
rivoluzionarie, atee, anticristiane,
antiebraiche, disprezzano
la legge in nome della volontà
delle masse. Hanno la pretesa
di reinventare il mondo sulla
base di universalismo e nazionalismo
».
Dall’analisi dei totalitarismi
novecenteschi emergono inevitabilmente
tratti comuni, sebbene
lager e gulag (acronimo di
glavnoe upravienie lagerej, amministrazione
generale dei
campi) non possano essere
esclusivamente assimilati. È
qui che il terreno diventa franoso.
La ricerca di aspetti simili
tra le forme di organizzazione
scientifica dei due strumenti
di oppressione e di repressione
è difficile perché gli studi in
materia sono sbilanciati. Si sa
molto della macchina di morte
hitleriana, si sa molto poco dell’universo
concentrazionario
creato sin dai tempi della Russia
zarista e di Lenin nelle isole
Solovki. Il nazismo ha istituito
campi di sterminio in mezza
Europa per ragioni razziali,
Stalin ha voluto i gulag disseminati
in tutta l’Unione sovietica
per rinchiuderci kulaki e
subkulaki, controrivoluzionari
e “nemici del popolo”.
Aleksandr
Solzenicyn nel suo celebre
Arcipelago Gulag (Mondadori),
spiega come si potesse essere
comunque deportati nelle tundre
gelate anche senza motivo.
Nonostante da un lato si sia
configurato un apparato per
l’eliminazione dell’uomo e dall’altro
un’organizzazione per il
lavoro forzato, il risultato finale
non cambia: «In un caso e
nell’altro si moriva non per ciò
che si era compiuto ma per ciò
che si era», sostiene Israel. E
per far morire milioni e milioni
di persone occorreva necessariamente
una pianificazione
precisa, oggettiva. Scientifica,
appunto.
Edwin Black in L’Ibm e l’olocausto
edito in Italia da Rizzoli,
dimostra come i nazisti utilizzassero
la tecnologia fornita
dalla nota società americana
per effettuare i censimenti di
ebrei, dissidenti, zingari, omosessuali.
Si trattava di macchine
Hollerith a schede perforate
costruite dalla succursale tedesca
dell’Ibm.
Una di queste è finita
all’Holocaust Museum di
Washington. «Come avrebbe
fatto altrimenti la Gestapo ad
avere disponibili tutti gli indirizzi
delle persone da deportare
di un’intera città?», si chiede
Israel. «Per esempio, mio
padre si salvò solo perché aveva
cambiato residenza».
Il ricorso agli strumenti tecnici
e la procedura esatta di classificazione
e schedatura furono
determinanti per il raggiungimento
dell’obiettivo genocidio.
Ad ogni numero impresso nel
braccio del deportato corrispondeva
una scheda perforata
in ufficio. Il matematico ricorda
che nel 1937 Hitler decorò
con una medaglia al merito
l’allora responsabile dell’Ibm
Thomas Watson. La multinazionale
americana si difende
dicendo che non poteva sapere
come sarebbero state utilizzate
le macchine Hollerith e che dopo
lo scoppio della Seconda
guerra mondiale la propria filiale
tedesca era sotto il controllo
del Reich.
«Sui gulag sappiamo meno»,
ripete Israel, «non abbiamo archivi
e documenti a disposizione
come per i campi di sterminio
tedeschi». Però a proposito
della pianificazione razionale
qualcosa emerge. Lo stesso Solzenicyn
descrive la disposizione
particolare dei prigionieri
sui treni per ottimizzare gli
spazi. Una organizzazione per
il lavoro forzato centralizzata
non poteva che seguire indicazioni
precise. «La prima impressione
che si può avere studiando
i gulag è quella di una
struttura scarsamente efficiente.
Si capisce poi come gli intenti
non erano per nulla caotici
», riflette Israel. L’autore di
Arcipelago Gulag ricorda il caso
di un internato che propose
di migliorare gli aspetti di inefficienza
dei campi applicando
un principio basato sul cottimo
differenziale: più si lavora e più
si mangia. L’idea fu tramutata
in una scala di nutrizione che
necessariamente innescò un
meccanismo di selezione infernale.
Alcuni prigionieri avevano
la possibilità di sopravvivere
e rafforzarsi, altri deperivano
in poco tempo andando incontro
alla morte. In tal modo
si massimizzava il rendimento
minimizzando i costi. L’ideatore
del sistema probabilmente
conosceva le teorie di Taylor.
Da deportato divenne ben presto
uno dei capi del gulag, fu
decorato e nominato generale.
Riuscì addirittura a salvarsi
dalle epurazioni di Stalin.