Internet in Cina tra boom e censura: Google cancella la parola democrazia

In meno di cinque anni
la Cina ha scalato la
classifica mondiale dei
siti Internet registrati collocandosi
al sesto posto
assoluto e sbaragliando
buona parte dei paesi industrializzati.
Una crescita
spaventosa che dura
dal 1997 e che si è intensificata
negli ultimi tempi.
Centodieci milioni di
utenti, 75 milioni di indirizzi
telematici complessivi,
tassi di crescita del 150
per cento. Il tutto, però,
sotto la cappa di una disdicevole
censura.

Questi numeri e una interessante
ricerca sulla
Rete targata Cn sono stati
appena diffusi dalla
newsletter Focus.it del
Registro ccTLD, struttura
dell’Istituto di informatica
e telematica del Cnr che
in Italia si occupa di assegnare
i domini “.it”.
“Stando ai dati forniti dal
recente Statistical Survey
Report on the Internet Development
in China pubblicato
sul sito Cnnic, lo
sviluppo e l’uso delle tecnologie
legate ad Internet
nel paese asiatico sono in
continuo crescendo, almeno
fin dal 1997”, scrive
l’esperto informatico
del Cnr Paolo Gentili.
“Fatto straordinario per
la rapidità di attuazione,
la Cina ha raggiunto e superato
il milione di domini
registrati “.cn” con un
incremento del 153,9 per
cento rispetto all’anno
passato”, continua Gentili.
Oltre ai siti a targa cinese,
il Drago rosso ne conta
un milione e duecentomila
col suffisso “.com” e
quasi trecentomila in totale
tra i vari “.net” e
I “.org”.

Ma ciò
che lascia stupefatti
è la cifra globale
degli indirizzi
IP, cioè il
numero identificativo
di qualunque
dispositivo
collegato alla Rete:
“In territorio
cinese si arriva a
74.391.296, terzo
posto al mondo”,
spiega ancora
Gentili. Per
volume di nomi
a dominio, invece,
la Cina occupa
il primo posto
in Asia ed è la sesta
di tutta la
Terra: “Un balzo
da giganti verso
il futuro”.
Non meno interessante
è la
fotografia degli
utenti fornita da
Focus.it. Il fruitore
medio cinese
è maschio, celibe,
sotto i 30 anni,
con un livello
di istruzione inferiore
al Bachelor,
titolo che corrisponde
grossomodo
alla laurea
italiana. Gli smanettatori
da Pc
più accaniti sono
gli studenti, a seguire
impiegati,
insegnanti e dipendenti
statali.

La stragrande maggioranza
di loro si connette
dalle aree urbane. E qui
salta all’occhio una delle
tante difformità del colosso
d’oriente: più di 90 milioni
di persone usufruiscono
del web dalle città
mentre soltanto 20 milioni
si connettono dalle
campagne. “In sostanza
la diffusione di Internet in
Cina sembra strettamente
legata al territorio”, sottolinea
Focus.it, “quello urbanizzato
si assuefa, naturalmente,
molto meglio
a quanto richiesto dalla
tecnologia necessaria per
lo sviluppo della rete
mondiale, le campagne
invece, ancora molto arretrate,
non possono assolvere
a questo compito”.
Si tratta dunque di un
fenomeno importante a livello
numerico
ma non a livello
geografico e,
purtroppo, di un
boom gravemente
accecato
dalla censura.

Prova ne sia l’esperimento
suggerito
dalla rivista
elettronica
del Cnr: "Digitando
“free tibet”
su
Yahoo.com si riscontra
un numero
enorme di
voci (circa 7milioni
e 200mila),
indicizzate ai
primi posti, riguardanti
i siti
Internet di movimenti
che promuovono
l’indipendenza
del
Tibet dalla Cina.
Se invece si effettua
la stessa
operazione in
Yahoo.com.cn si
ottengono appena
sei risultanze
in quanto non è
possibile visualizzare
gli indirizzi
web contrari
alla politica
del governo cinese.
Le multinazionali
americane
Google e
Microsoft e la
stessa Yahoo
avrebbero dunque
accettato di oscurare
le pagine sgradite a Pechino
pur di mettere piede
nel goloso mercato della
Repubblica popolare, contravvenendo
palesemente
al Global Internet Freedom
Act, legge approvata
dal Congresso degli Stati
Uniti per garantire la libera
circolazione di idee e
contenuti sul web. Davvero
una brutta figura in nome
del dio danaro, certificata
con dati di fatto nientemeno
che dall’organizzazione
internazionale
Human Rights Watch.

Secondo
il preciso rapporto
di HRW intitolato “Corporate
Complicity in Chinese
Internet Censorship”,
un’inchiesta di ben 149
pagine con immagini e
annotazioni disponibile
sul sito hrw.org, appena
calcata la terra della
Grande muraglia il motore
di ricerca Google
avrebbe creato sua sponte
una lunga lista di parole
off-limits, tra le quali,
guarda caso, figurano libertà,
democrazia, Tienanmen.
La difesa poco convincente
delle multinazionali
del World Wide Web
suona più o meno così:
l’importante è cominciare
a gettare le basi nel nuovo
mercato e offrire una
nuova opportunità di crescita
alla popolazione. Nonostante
la censura. E la
recente notizia che un
blogger cinese chiamato
Oser abbia perlomeno
scampato il carcere, a differenza
di quanto successo
a molti suoi colleghi,
perché i contenuti del suo
sito erano sgraditi al governo,
ancora non fa tirare
nessun sospiro di sollievo.
Le pagine elettroniche
incriminate sono state
cancellate per il semplice
motivo che Oser aveva
osato fare gli auguri di
buon compleanno al Dalai
Lama.