Inseguendo le fughe di cervelli

In Italia di ricerca non si vive.
Secondo il Rapporto sul lavoro
atipico della Cgil stilato lo
scorso anno, più della metà
dei giovani scienziati italiani
ha un contratto precario, uno
su tre guadagna la miseria di 800
euro al mese quando va bene. Tutti
lavorano tra le 38 e le 45 ore settimanali.
Strada obbligata per pattuglie
di nuove leve della conoscenza
è dunque l’emigrazione.
Uno spaccato credibile e documentato
del fenomeno "cervelli in
fuga" è ora anche in libreria nei titoli
della collana "Prospettive" della
Cuec: Scienziati di ventura. Storie di
cervelli erranti tra la Sardegna e il
mondo (146 pagine, 11 euro). Gli autori
Andrea Mameli e Mauro Scanu,
ricercatori giornalisti, hanno rintracciato
in giro per il pianeta una
ventina di menti brillanti in ritirata
dalla Sardegna. "Senza distinzione
d’età e di ruolo", scrivono.

Ci sono
neo dottori di ricerca e poco più che
quarantenni già a capo di equipe di
specialisti. Si viaggia dagli Stati Uniti
all’Inghilterra, dalla Norvegia al
Giappone, dall’Olanda all’Australia.
Carlo Boldetti è scappato da Cagliari
dove studiava ingegneria: "I
programmi erano datati, c’era poca
attenzione per gli studenti". Ha partecipato
al programma Erasmus e
ha conseguito un dottorato in ingegneria
meccanica a Sheffield, Regno
Unito. Oggi Boldetti ha 35 anni e
progetta componenti per la Formula
Uno alla Renault: "Dagli alettoni,
alle ruote, dallo sterzo a pezzi del
motore".

Dopo l’Erasmus, non ancora
laureato, è stato assunto per un
anno all’Università di Sheffield. Il
post-lauream sempre in Inghilterra
e subito dopo il lavoro: "Basti pensare
che qualche mese prima della fine
del dottorato sono stato letteralmente
inondato da offerte". Boldetti
per ora non ha nessuna intenzione
di rientrare in Sardegna e preferisce
stare seduto sul pneumatico
del bolide Renault, come si vede nel
sito web Carloboldetti.com.
Rosaria Piga, cagliaritana di na-
I
scita 43enne, ha scelto il Giappone.
Anche lei è nauseata "da un Paese
carente di persone serie e guidate
da principi di onestà e lealtà, da un
Paese dove vai avanti solo se sei raccomandato
o figlio di".

Sarebbe il solito
piagnisteo qualunquista se non
fosse che Piga, appena fuori dall’Italia,
è diventata una ricercatrice di
prim’ordine. Laureata in scienze
biologiche all’Università di Cagliari,
dottorato in patologia generale a Torino,
dopo il consueto precariato tra
le stanze dei laboratori nostrani, è
volata all’Università di Kyoto dove
lavora da quasi tre anni ad altissimi
livelli. "Mi occupo di stress ossidativi".
Ovvero studia fenomeni all’origine
di malattie come il cancro, il morbo
di Alzheimer, il Parkinson. "Proprio
perché è un fenomeno comune
a numerose patologie, è importante
conoscere i motivi e i meccanismi
dei vari tipi di stress", spiega. "Lavoriamo
anche sull’uso, le potenzialità
e gli eventuali sviluppi in medicina
dello Snom", microscopio a fibra ottica
che consente di esaminare tessuti
di poche decine di nanometri,
miliardesimo di metro. Di mettere
piede in Sardegna non se ne parla.
"Almeno per il momento".

Come Carlo Boldetti e Rosaria Piga
ce ne sono tanti altri, specialisti
disgustati dall’Università e dai centri
di ricerca italiani in viaggio verso
mete scientificamente più attraenti.
Questa emorragia, difficile da
quantificare, è un danno enorme per
l’Italia. "Si pensi che per formare
uno studente dalla scuola elementare
al dottorato di ricerca, lo Stato investe
risorse quantificabili in 500mila
euro", dice Scanu.

Risorse che però
sono messe a frutto all’estero. I
numeri del personale universitario
spiegano perché. In Italia su 18651
docenti di ruolo quelli con meno di
35 anni sono solo 9. L’80 per cento
dei professori ordinari ha più di 50
anni, il 40 per cento più di 60. Il nostro
Paese attira ogni anno appena
29mila studenti stranieri contro i
40mila della Spagna e i 220 mila
dell’Inghilterra. L’Italia investe l’1,1
per cento del Pil in ricerca, esclusi i
progetti militari, contro per esempio
il 3,9 della Svezia.
Nonostante questo scenario qualche
coraggioso rientra. Le ultime 25
pagine del libro sono dedicate a chi
c’è riuscito. A Francesco Cucca, Monica
Mameli, al compianto Giuseppe
Pilia. "Perché il problema è proprio
questo", spiega Mameli, "garantire
ai ricercatori di fare esperienze all’estero
e poi creare le condizioni
per farli rientrare".

La comunità
scientifica è globale, non esistono
confini, ma esistono scuole più prestigiose
e attrezzate di altre dove
uno studioso preferisce lavorare.
"Riportare a casa un ricercatore che
si è formato in altri paesi, significa
restituire un capitale con gli interessi".
Per far questo bisogna essere
competitivi e occorre un miglioramento
strutturale. Il farmacologo
Gian Luigi Gessa nell’introduzione
al libro conferma: "Sono tornati tanti
dei miei allievi e tanti degli allievi
dei miei allievi. Anch’io sono tornato
e ho costruito una Scuola che ha
"filiali" nella penisola". Il merito
principale del libro di Mameli Scanu
è di portare un contributo al dibattito
aperto dal famoso Cervelli in fuga
dell’Associazione dottori e dottorandi
(Avverbi editore, 2001) con
prove concrete alla mano. Le parole
da leggere e le facce degli scienziati
di ventura da vedere su
http://scienziatidiventura.blogspot.c
om/
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