Il mio Natale in Medio Oriente

Cagliaritano d’adozione e oristanese di nascita, 40 anni e una coscienza pacifista a prova di bomba. Francesco Mugheddu, in questi giorni prefestivi, non ha avuto ne’ tempo ne’ voglia di sfidare la città in piena ubriacatura consumista. Lui, Natale e Capodanno li passerà nella Striscia di Gaza, dove di videofonini e abbigliamento griffato nessuno se ne fa niente. È partito ieri come osservatore internazionale dell’Unione europea in missione di lungo
periodo per le elezioni palestinesi. Laureato in Fisica all’Università cittadina, master in diritti umani e democratizzazione a Padova, è uno dei pochissimi sardi a fare questo lavoro: «Mi risulta che ci fosse solo un altro osservatore isolano». Gira il mondo sotto l’egida dell’Osce (Organization for security and co-operation in Europe) e dell’Ue da 11 anni. Dopo aver vissuto a Cagliari dall’83 al ’99, si è trasferito prima a Venezia e poi a Roma, dove tuttora risiede.

Perché questo lavoro?
«Perché mi sono sempre occupato di volontariato e cooperazione internazionale interessato di tematiche
legate alla pace e alla risoluzione dei conflitti. Durante gli anni dell’Università ho militato in organizzazioni non governative come Lavoriamo per la pace, di cui sono uno dei soci fondatori, Beati i costruttori di pace e Caritas diocesana, con la quale nel ’93 ho fatto la mia prima esperienza internazionale in Croazia».

Come si diventa osservatori internazionali?
«La chiave di volta per me è stata la partecipazione a un corso intensivo di cosiddetto peacekeeping, letteralmente “mantenimento della pace”, alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Subito dopo sono stato chiamato dal ministero degli Esteri per una missione in Bosnia».

In cosa consiste il suo lavoro?
«Un osservatore di lungo periodo all’estero controlla e partecipa a tutte le fasi del processo elettorale.
Intervista i rappresentanti della società civile, cittadini, autorità politiche, riguardo alle consultazioni. In seguito stila una relazione da spedire al nucleo direttivo, il core team, che dipende dall’organizzazione internazionale».

Di quali organizzazioni si tratta?
«Di Osce, Ue e Onu, che ha anche il potere di indire elezioni».

A quante missioni ha partecipato finora?
«Sette. Sono stato in Bosnia, Albania, Kosovo, Montenegro, Nigeria, Guatemala, Indonesia. E da oggi in Palestina».

Quali sono i rischi?
«Essere coinvolti in un incidente automobilistico o contrarre una malattia tropicale, per esempio. Il rischio più grave nel quale sono incorso è stato quando un serbo ubriaco mi ha aggredito a Rogatica, nella repubblica serba di Bosnia: non gli piaceva l’espressione “dialogo interetnico”».

È stato in zone di guerra contaminate da uranio impoverito?
«Sì, in Kosovo».

Eravate attrezzati contro le radiazioni nocive?
«No».

Quanto guadagna?
«Il nostro compenso è costituito da una indennità di rischio e da una diaria. Siamo inquadrati come consulenti e, tutto compreso, per una missione di lungo periodo arriviamo a guadagnare 5500 euro al mese».

Questo lavoro è conciliabile con una famiglia?
«È molto difficile, specialmente quando ci sono figli piccoli, anche se non è il mio caso».

Dove si svolge la sua nuova missione?
«A Tel Aviv, Striscia di Gaza e West Bank».

Ha paura?
«No».

Sarete scortati?
«Potremmo esserlo, ma non ce lo hanno ancora comunicato».

Dove trascorrerà il Natale?
«Se non sarò nella Striscia di Gaza, proverò a raggiungere Betlemme».