Roberto Palomba, 45 anni, è un designer sardo di fama mondiale. Lavora in un open space stellare al centro di Milano. Un laboratorio creativo sui Navigli dove durante il giorno si tengono meeting all’aperto e la sera cene e aperitivi. La sua firma è richiesta da aziende al top: da Foscarini a Zucchetti, da Poltrona Frau a Laufen, da Lancia a Sawaya & Moroni. Insegna Design strategico al Politecnico di Milano ed è famoso in tutti i continenti soprattutto per l’arredo del bagno. O meglio, per aver sdoganato il water. Quello che porta la sua firma è un vero oggetto di culto. Nato a Cagliari, quartiere San Michele, Palomba ha frequentato il liceo Michelangelo e a 18 anni si è iscritto alla facoltà di Architettura di Roma. Matto per i cavalli.
Il primo si chiamava Ornello e glielo aveva regalato il nonno, Peppino Obino, compare di Emilio Lussu, grande imprenditore agricolo. E il primo ricordo va proprio a lui, «nonno Giuseppe che ci voleva comprare una casa in Svizzera per farci studiare, un grande punto di riferimento ». Il primo di tre fratelli, trascorre solo due notti su sette a casa, nella stessa factory milanese. Gli altri giorni viaggia: «Ho fatto quattro volte il giro del mondo». Preferisce jeans e maglietta alla cravatta, ha una figlia di 11 anni e una moglie, Ludovica Serafini, designer architetto anche lei, con la quale ha fondato lo studio “PS+A”. Innumerevoli i riconoscimenti internazionali ottenuti dal ’94. Il più recente e il più importante è il German Design Award 08 per un “radiatore dal design contemporaneo”: un premio dei premi consegnato dal ministero del Commercio tedesco sulla base di una selezione tra professionisti pluride- R corati. Un’altra delle sue creazioni prestigiose è il corridoio Lancia nella sede storica della Fiat in via Giovanni Agnelli a Torino. La casa editrice super specializzata, Hatje Cantz, ha dedicato a Ludovica e Roberto una recente monografia. Ogni anno Palomba sforna una cinquantina di oggetti esclusivi. Nel suo laboratorio lavorano 15 ragazzi sotto i trent’anni e tutti architetti: «I giovani sono la mia grande risorsa».
Quanta Sardegna nelle sue creazioni?
«Sono sardo anche se d’esportazione e una sardità formale è presente nelle mie creazioni. Prima di tutto sono quello che faccio. Colori, sapori, forme di rocce di Sardegna sono dentro le cose che disegno».
In che modo?
«Non si può essere indifferenti alla natura sarda, ne siamo violentati, non c’è alcun controllo, è una realtà che non puoi cambiare ma solo eventualmente distruggere. Mi capita di vedere altrettanto in Sudafrica, Grand Canyon, Estremo Oriente. Dalla Sardegna ho preso le idee di frugalità e di riduzione. I sardi sono abituati a fare molto con poco. Da qui nascono, in gergo tecnico, i cosiddetti codici di riduzione. Il magazine americano Surface mi ha definito “il genio della riduzione”».
Da architetto neo laureato a designer di fama. Qual è la strada?
«Intanto il lavoro. E una grande energia fisica. Sono uscito dall’Università con una grande preparazione di base, mi sono laureato con Corrado Terzi, docente e teorico di disegno industriale. Lui mi ha dato gli strumenti per spiccare il volo. Per fare un lavoro creativo occorre una solida struttura teorica. Altra persona importante per la mia crescita professionale è mia zia, la ceramista Emilia Palomba. Lei mi ha costretto a guardarmi dentro. Nel suo laboratorio ho modellato la creta, guardavo i suoi tornitori, mi interessava la forma pura non lavorata. Era bello vedere quel poco che attendeva di essere plasmato».
Il suo pezzo forte: water e dintorni. Perché?
«Ho voluto pensare ai bagni come a un ambiente di benessere e mi sono concentrato anche sul water.Anziché ragionare sulla milionesima sedia dove poggiare il sedere, così come capitava a tanti miei colleghi, ho ragionato su un altro oggetto, sempre dove poggiare il sedere. È così ho fatto i soldi».
Cioè?
«Dato che ho sempre lavorato per grandi marchi ho avuto la fortuna di vedere le mie creazioni riprodotte in innumerevoli pezzi in tutto il mondo. Le royalties sulle vendite vanno dal 3 all’1,5 per cento. Però posso dire che con il mio lavoro non ho fatto solo la mia fortuna ma anche quella di molte industrie. Al momento sono il designer di punta del prodotto di punta dell’azienda di punta, nel settore dei bagni».
Cosa la affascina dell’architettura in Sardegna?
«I nuraghi, essenziali, costruiti con un unico materiale, che una volta fatti a sistema diventano strutture complesse. La complessità è fatta di tante cose semplici ».
Quanta architettura c’è in Sardegna?
«Poca. Mi auguro che i grandi architetti internazionali scoprano la Sardegna. Tutto il mondo usa l’architettura come simbolo e come valore. A Bilbao, che non è il centro del mondo, si trova il Museo Guggenheim. Perché non altrettanto in Sardegna?».
Tornare nell’Isola?
«Mi piacerebbe essere utile in qualche modo alla Sardegna.Ma il mio buen retiro sarà in Sud Africa, a Cape Town, più a sud del sud, dove due oceani si incontrano ».