Il bellissimo cielo grigio sopra Alda Merini

(8 agosto 2011) Leggere Alda Merini è sempre una catarsi. Pochi possono restare indifferenti a una sua poesia come "Laggiù dove morivano i dannati". Perché, prima di tutto, credo si tratti di merce oggi rarissima. "Di poeti ne nascono 3 o 4 in un secolo", diceva Moravia ai funerali di Pasolini. "I poeti sono scomodi come i fumatori", diceva la Merini, consapevole che la poesia non da il pane, convinta che la politica non è affar suo, "non mi piace star troppo seduta", e accesa sostenitrice di un approccio spontaneo, appassionatissimo e diretto alla vita. Recentemente "Io Donna" ha dedicato alla poetessa milanese un bel ritratto dove, in poche righe, gli autori Lucrezia e Giorgio Dell'Arti mettono in fila simboli, parole, visioni di una donna senza veli. L'apparente semplicità di alcune sue abitudini descritte mi ha fatto riflettere. Come la scelta di annotare i numeri di telefono sui muri di casa. Questo mette in luce una distanza abissale che ci separa da una donna come la Merini, che separa la nostra banale vita quotidiana con le nostre banali agende elettroniche, con gli indirizzi sincronizzati con la memoria digitale al posto di quella umana, dalla vita di una poetessa. Una distanza che già lo stesso Pier Paolo Pasolini, tra i primi critici della letterata (Una linea orfica, in "Paragone", n. 60, 1954, pp. 82-87), descriveva con stupore: "Di fronte alla spiegazione di questa precocità, di questa mostruosa intuizione di una influenza letteraria perfettamente congeniale, ci dichiariamo disarmati". Le tribolazioni e l'arte della Merini credo si originino da una miscela di scelte e costrizioni. Il confine sottile tra il fascino e l'entusiasmo di stare sotto un cielo grigio e il destino di subirlo ritengo sia una delle più forti suggestioni regalateci da questa grande poetessa del Novecento.

(walter falgio)