Geppe e il suo fiume

(29 luglio 2020) Il fiume Panaro bagna Spilamberto e quelle pietre accanto alla foto di Nino Garau e sopra la sua bara provengono dalle sue sponde. Le ha portate a Cagliari il 16 luglio Umberto Costantini, il sindaco del paese emiliano, e accompagneranno il viaggio del partigiano. Quel fiume che nasce negli Appennini e confluisce nel Po verso nord era un luogo molto familiare per Nino. Ce ne parlava spesso con dovizia di dettagli sulla conformazione delle anse e sul corso attorno al territorio di Spilamberto.

Un fiume in guerra è un confine importantissimo. Rappresenta ovviamente un sistema difensivo naturale e un percorso obbligato, tanto più se il letto è ampio e ghiaioso come quello del Panaro nella pianura modenese. Quando tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile del 1945 si attendeva da un momento all’altro lo scontro con i tedeschi in ritirata e l’arrivo degli alleati, Nino Garau, il partigiano Geppe, ebbe una intuizione decisiva. Dopo uno studio attento delle carte stabilì che le truppe americane e i tedeschi avrebbero sfondato proprio sul Panaro e che non avrebbe avuto alcun senso trasferire i combattenti della Brigata partigiana “Casalgrandi” guidata dal sardo a Modena, così come invece suggeriva il comando di Divisione.

“Io ritenni che fosse più che altro un’azione dimostrativa in quanto ritenevo che a Modena gli Alleati non avrebbero trovato ostacoli militari e quindi rifiutai nel modo più assoluto di spostare i reparti della mia Brigata in quanto sarebbe stato meglio attuare il piano già prestabilito dato che, come dimostrato dalle carte e dalle mappe esaminate, ero certo che lo sfondamento degli Alleati sarebbe avvenuto lungo il fiume Panaro”, aveva scritto Nino nella sua memoria.

Il capo partigiano cagliaritano ebbe ragione: i tedeschi e gli alleati risalirono la pianura sfruttando le sponde del fiume Panaro, il percorso più agevole per i mezzi corazzati. Geppe non trasferì i suoi uomini a Modena e schierò tutte le forze attorno a Spilamberto dove avvenne la battaglia finale e dove, nella notte del 22 aprile 1945, i partigiani e la popolazione ricacciarono definitivamente e solo con le loro forze i nazifascisti liberando le città, le strade e i campi del Modenese. Geppe sapeva “che i migliori combattenti fossero quelli che agivano in difesa della propria famiglia, degli amici e delle loro case. Di sicuro il mio atteggiamento non piacque ma io tenni duro e non cambiai mai la mia posizione sull’argomento”.

Geppe con la sua Resistenza non racconta atti eroici. Restituisce la forza delle scelte di un uomo poco più che ventenne, anche in contrasto con i suoi capi, descrive della solida consapevolezza politica di un combattente poco più che ragazzo, sbandato dopo l’8 settembre, nel voler schiacciare la violenza e l’oppressione per tentare di ricostruire un mondo diverso, certamente più libero, certamente rispettoso dei diritti fondamentali di ogni donna e di ogni uomo.

Garau e tanti altri antifascisti sono riusciti in questo intento. Hanno ricacciato l’oppressore anche a costo della propria vita. Quel mondo migliore, però, è ancora in costruzione. Giorno dopo giorno. Pietra su pietra.

(walter falgio)