Geppe, cinema e storia

(23 giugno 2012) Rieccomi a scrivere sul partigiano Nino Garau. A raccontare della sua forza. Mercoledì scorso, alla Società Umanitaria di Cagliari Cineteca sarda abbiamo presentato in pubblico, per la seconda volta, il film Geppe e gli altri. Premesso che è stato un onore collaborare con questa prestigiosa istituzione cittadina – e lo dico sinceramente, abituato come sono ad apprezzare, e a distinguere, chi si occupa con rigore di cultura – sottolineo con altrettanto piacere i diversi richiami che durante la serata sono emersi al virtuoso connubio tra cinema e storia.

Ben lungi dal pensare che il mediometraggio dell’Issra e del Laboratorio universitario di Etnografia Visiva sia un vero prodotto cinematografico (è piuttosto un lavoro scientifico sperimentale), raccolgo con molta attenzione gli stimoli che provengono soprattutto dalla riflessione del direttore della Cineteca sarda, Antonello Zanda.

L’incontro tra la cinematografia e il racconto storico, non sta certo a me ricordarlo, ha prodotto opere di straordinaria intensità che hanno segnato nel profondo la memoria. (Una per tutti: si pensi alla Trilogia della guerra di Roberto Rossellini).

Ciò che mi preme osservare è che la parola del comandante partigiano, nello specifico, superi una lineare articolazione temporale. Garau parla oggi (in realtà tra il 2006 e il 2007) di eventi consumati dopo l’8 settembre del 1943 con efficacia e lucidità strabilianti, riproponendo una sorta di testimonianza differita.

È stato detto: per quasi 70 anni il comandante della brigata “Casalgrandi” ha congelato in una terra di mezzo la sua grande esperienza, condividendo, solo adesso, il flusso dei ricordi. Adesso che viviamo in un mondo molto diverso rispetto al dopoguerra (ma anche rispetto agli anni Sessanta e Settanta), adesso che le griglie interpretative sono più fluide, o per meglio dire, meno vincolanti.

La memorialistica resistenziale coeva, la grande urgenza nel raccogliere la documentazione sulla guerra partigiana dando vita agli istituti storici, la prima storiografia, i film degli anni Sessanta sull’8 settembre (Tutti a casa di Comencini, La grande guerra di Monicelli, Il generale Della Rovere di Rossellini), hanno lasciato tracce indelebili nella cultura di massa. Riferendosi proprio ai film, Mario Isnenghi ritiene che “potremmo considerare il 1960-61 una data periodizzante per le elaborazioni collettive della memoria dell’8 settembre: un pilone rispetto a cui si possono riconoscere un prima e un poi”.

Compiendo dunque un lungo salto sino al presente, ci accorgiamo però che gli strumenti divulgativi scarseggiano. Non è certo sufficiente rinverdire parole d’ordine e immagini una volta all’anno nelle piazze. Non si possono riproporre esclusivamente prodotti culturali figli del loro tempo.

Ecco perché, facendo nostre le parole del compianto Fabio Masala scritte in un prezioso libretto pubblicato nel 1988 dall’Istituto sardo per la storia della Resistenza e dell’Autonomia, Cinema e insegnamento della storia, condividiamo che «il problema educativo è da porsi evidentemente interrogandoci in primo luogo su quali siano le fonti possibili per lo studente, il cittadino normale. E come – partendo da queste fonti “possibili”, “accessibili” ed anche “accidentali” – possiamo abituarci ed abituare gli educandi a fare una ricerca storica, ad analizzare criticamente quella realtà, quella fonte “ingarbugliata ed improbabile”, ma generalizzata, che è il film».

(walter falgio)