Francesco Trento racconta la Volante rossa

(5 settembre 2014) In occasione delle recenti presentazioni in Sardegna del libro di Francesco Trento, La guerra non era finita, ho avuto modo di dialogare in pubblico con l’autore. Ne è scaturita questa intervista.   

Sulla storia della Volante Rossa dal ’45 al ’48 è stata costruita una mitologia. In assenza, da un lato, di un’indagine storiografica in chiave scientifica su uno dei tanti aspetti della vicenda politica e sociale dell’Italia del dopoguerra, e sulla spinta, dall’altro, di una dolosa lettura non solo revisionista, parziale e sostanzialmente ideologica, sulle azioni della formazione di Lambrate ha dilagato la leggenda. Francesco Trento, ti chiedo in primis da chi era composta la Volante Rossa, quali erano le finalità, in che contesto operava?

“Come dicevi questa storia, tranne per quanto riguarda gli ottimi libri di Bermani, Recchioni e Guerriero-Rondinelli, è stata raccontata, da sinistra, in versione mitologica, descrivendo un gruppo di militanti senza macchia e senza paura che non faceva mai un errore e che combatteva il fascismo senza mai sbagliare un colpo. Dall’altra parte, invece, nella pubblicistica di destra e revisionista sino ad arrivare agli attuali libri di Giampaolo Pansa, si è costruito il mito negativo, per cui la formazione era responsabile di stragi su stragi e aveva addirittura ucciso migliaia di persone. Il mito negativo ha conquistato anche esponenti della sinistra istituzionale come Ugo Pecchioli che non ebbe difficoltà a paragonare il gruppo di partigiani alle Brigate rosse. Di fronte a questi due atteggiamenti entrambi falsi io ho provato a destrutturate il mito e a ricostruire la vicenda di questo gruppo di ragazzi con fonti storiche alla mano. Parlo di ragazzi non a caso perché all’epoca della nascita della formazione molti dei suoi componenti erano giovanissimi. Aveva 14 anni Giorgio Galletti detto Cucciolo. C’era Sbarbà che aveva 15 anni, Bino Bini, anche lui 14enne, faceva l’infiltrato nel movimento neofascista. Subito dopo la guerra questi ragazzi rispondono alla chiamata di un ex comandante della 118esima brigata Garibaldi, Giulio Paggio nome di battaglia Alvaro, che li riunisce nella Casa del Popolo di Lambrate. Dietro alla facciata di una associazione commemorativa delle gesta dei partigiani, nasce un nucleo ristretto dedito ad azioni contro fascisti, torturatori, autori di stragi e collaborazionisti che nel frattempo tornano a circolare indisturbati per le strade di Milano. Raccolgono informazioni attraverso una rete che si fa sempre più vasta sino ad avere referenti dentro la Polizia e i Vigili urbani. Nei primi mesi dopo la Liberazione questo gruppo si comporta esattamente come una brigata partigiana. Compie azioni volanti contro persone responsabili in genere di violenze sotto il fascismo. L’accusato viene sequestrato, si inscena un processo e se emergono gravi responsabilità, è giustiziato. Altrimenti rilasciato e minacciato. Questa fase della Volante rossa dura pochi mesi, è l’estate del 1945, il periodo dell’epurazione violenta dei fascisti peraltro comune a buona parte dell’Europa, come dimostra il recente saggio di Keith LoweIl continente selvaggio. Dopodiché il gruppo di Paggio depone le armi e si apre un nuovo capitolo della sua storia”.

Le fasi della storia della Volante rossa secondo Cesare Bermani sono almeno tre. La prima, che hai appena descritto, riguarda le azioni di epurazione subito dopo la guerra. Nella seconda fase tra il ’46 e il ’47 i partigiani di Lambrate si fronteggiano con organizzazioni armate neofasciste, qualunquiste e monarchiche. Nella terza fase, dopo l’autunno del ’47, la Volante rossa è chiamata invece a compiere servizi di vigilanza nella sede della federazione milanese del PCI.

“Dopo la prima fase i militanti della formazione di Lambrate si accorgono che la guerra non era finita. Che i fascisti continuavano a girare armati per le strade e che, soprattutto, si stavano riorganizzando in strutture paramilitari sotto mille sigle: le squadre d’azione Mussolini, i gruppi d’azione Mussolini, i reparti antitotalitari antimarxisti monarchici. Poi sarà la volta dei fasci d’azione rivoluzionaria comandati dal generale della milizia Ferruccio Gatti. Una serie di gruppi che dalla fine del ’45 e sempre di più con l’approssimarsi del referendum del giugno del ’46, compie attentati frequentissimi contro le sedi dei partiti della sinistra, le case del Popolo, contro il sindacato. Attentati che spesso provocano vittime, come nel caso della Camera del Lavoro di Milano dove resta uccisa la custode Stella Zuccoletti, come alla sezione comunista di Porta Genova dove muore Franco Flammeni di cinque anni, figlio del custode, mentre maneggia un ordigno ritrovato casualmente. La Volante rossa, ma non solo, partecipa dunque a una guerra clandestina contro il neofascismo. Dalla fine del ’45 a buona parte del ’47 Milano è il teatro di uno scontro armato tra organizzazioni paramilitari. È in questo momento che la formazione di Lambrate assume importanza per la difesa delle sedi del Pci e per la Federazione milanese obiettivo dei fascisti. Alcuni dirigenti del Partito comunista milanese, contrariamente all’atteggiamento di Palmiro Togliatti che preferirebbe chiudere tutte le associazioni di ex partigiani che si dedicano ad azioni di forza, aprono un rapporto privilegiato con la Volante rossa e con Giulio Paggio e chiedono alla formazione di organizzare un servizio di vigilanza notturno nella sede della Federazione. Questo prelude a una sorta di ufficializzazione del gruppo di partigiani da parte del Pci milanese, che avviene alla fine del ’47. I dirigenti comunisti propongono alla Volante rossa, costituita ora nel suo complesso da 50 militanti, di venire alla scoperto, di partecipare alla campagna elettorale del ’48 e di appoggiare, come in realtà già accadeva, le lotte operaie. La formazione difende gli operai in caso di scontri con la polizia, assicura lo svolgimento dei comizi del partito, rappresentando cosi una sorta di volante operaia in azione nei momenti più caldi. Come il 25 aprile del ’48 a Piazzale Loreto, quando il Governo De Gasperi vietò le manifestazioni delle associazioni partigiane. Questa è stata la terza fase”.

Uno degli aspetti certamente più interessanti nella storia della Volante rossa è stato il rapporto con il Partito comunista. Rapporto complicato, come è prevedibile, tra una formazione armata combattente e un “grande organismo democratico”, per citare Togliatti, che stava operando la scelta dell’affermazione all’interno delle nascenti istituzioni repubblicane. Tuttavia questa vicenda si inserisce anche nella specifica storia del partito, se vogliamo in quella dinamica che viene identificata con la cosiddetta “doppiezza” del Pci per cui una parte della base recepiva la linea politica in termini di copertura tattica in attesa della rivoluzione. Come sappiamo questa lettura della realtà è sempre stata concepita dai dirigenti del Pci come un limite di alfabetizzazione ideologica che non avrebbe condotto ad alcun esito positivo. In un lavoro del ’76, La grande illusione, Fidia Gambetti scriveva: “Molti e non soltanto i cinquanta guerriglieri della cosiddetta Volante rossa, sono fermamente convinti che la linea del partito non è che una sovrastruttura di ordine tattico. Perciò ammiccano sempre”. Che cosa intendevano dimostrare i compagni che “ammiccano sempre”?

“I componenti della Volante rossa sono convinti per lungo tempo, e certamente sino al 16 luglio del 1948 quando cioè emerge con maggiore chiarezza la linea del Pci, di poter fare la rivoluzione e si preparano per questa finalità. Leonardo Banfi diceva: ‘Ogni tanto andavamo a casa di Gandini in montagna e lì smontavamo e rimontavamo un Thompson di notte bendati perché il nostro alimento allora era l’utopia’. La Volante rossa pensa che anche il Pci, forse, a un certo punto, voglia fare la rivoluzione ma come sappiamo il partito togliattiano non ne ha alcuna intenzione. È vero però che i vertici comunisti devono alimentare questa prospettiva nella propria base perché, in caso contrario, perderebbero la forza dei partigiani e degli operai organizzati. Non possono fare a meno di tali risorse anche perché – oggi le carte della Cia lo dimostrano – si doveva in qualche modo contrastare i piani di opposizione armata ad una eventuale presa di potere del Pci per via democratica predisposti dagli americani. Prima delle elezioni del ’48 i servizi segreti Usa erano preparati all’eventualità che il Fronte popolare avrebbe potuto vincere le elezioni e valutavano di conseguenza due strade: la falsificazione del voto o la messa al bando del Pci a cui il partito avrebbe reagito certamente con una insurrezione. A quel punto la rivolta sarebbe stata schiacciata militarmente e i comunisti decimati. Di fronte a queste ipotesi, quindi, il Pci ha la necessità di mantenere in vita un apparato di riserva armato e pronto a intervenire in caso di bisogno. In qualche modo anche la Volante rossa fa parte di questa organizzazione. È noto che i partigiani dispongano di armi a portata di mano ben nascoste nelle fabbriche. Ed è altrettanto noto che durante l’attentato a Togliatti le catene di montaggio partoriranno pistole e fucili ben oliati e pronti all’uso. Detto questo resta il fatto che l’argomento della doppiezza secondo me serve esclusivamente a tenere carica la base. Tanto è vero che il passaggio della Volante rossa dall’illegalità alla luce del sole avviene solo dopo il congresso di fondazione del Cominform, cioè come riflesso di un evento internazionale dove la posizione legalista di Togliatti è indebolita. Comunque anche se lo scenario globale non avrebbe permesso una insurrezione in Italia, Pietro Secchia, Luigi Longo o Giancarlo Pajetta, diversamente da Togliatti, avrebbero sicuramente preferito far pesare la forza della base operaia e partigiana per ottenere maggiori risultati nel campo delle politiche sociali e riguardo soprattutto all’epurazione dei fascisti. Non dimentichiamo che questo Paese non ha fatto i conti con il ventennio e molti criminali del regime non furono puniti per le loro azioni illegali. Mentre, al contrario, dal ’46 e dal ’47 iniziarono piuttosto ad essere puniti i partigiani”.

La pubblicistica revisionista in Italia si è concentrata anche sulla Volante rossa proponendo una lettura dei fatti a posteriori, applicando la tecnica piuttosto fallace di condannare gli effetti omettendo le cause. Un libro di Gianni Oliva, L’ombra nera, racconta ed elenca i crimini che dal ’43 al ’45 hanno commesso i nazifascisti in Italia: oltre 10mila civili morti, 7000 ebrei deportati, razzie, incendi, devastazioni. Partendo da questo scenario, ricostruendo quindi una concatenazione di eventi come tu hai fatto, si comprendono molto meglio anche le azioni della Volante rossa, si capisce perché la formazione di Lambrate colpì certi obiettivi. Pertanto ripartirei dal contesto di quegli anni.

“Quella che tu giustamente chiami pubblicistica, perché non è degna di essere definita storiografia, racconta esclusivamente la reazione a fatti determinati sistematicamente omessi. Cito un esempio dal Sangue dei vinti di Giampaolo Pansa a proposito di Giusto Veneziani, Questore a Genova, descritto come un rappresentante delle istituzioni che aveva inferto duri colpi ai Gap. Nel dopoguerra alcuni partigiani lo riconoscono per strada e per lui è la fine. Riportato così il fatto si configura come un’azione di giustizia sommaria per mano dei partigiani. Però, se si indaga sulla figura di Veneziani, si scopre che lui era il responsabile delle torture nella questura genovese, che aveva fatto abortire una partigiana incinta di sei mesi avendola presa a pugni sullo stomaco. E Pansa questo non lo racconta. Sempre nel Sangue dei vinti si attribuisce alla Volante rossa l’omicidio del marzo del ’47 di Franco De Agazio, giornalista fascista direttore del Meridiano d’Italia. Pansa spiega che questa informazione l’ha avuta da Livia Bianchi, figlia di un militante della Volante rossa che non è mai stato arrestato. Apparentemente la vicenda sembra un fatto provato, salvo poi tornare alla pagina 1 dell’introduzione del libro in cui Pansa spiega che tutti i personaggi del suo scritto sono reali tranne proprio la Bianchi che è una figura inventata. E così via. I libri di storia si scrivono in un modo diverso, evidentemente. Riporto un altro fatto che aiuta a comprendere. Nell’agosto del ’46 i fascisti decidono di attaccare la sede della Volante rossa a Lambrate. Uno dei militanti della formazione partigiana, il 14enne già citato Bino Bini, è infiltrato nelle squadre di azione Mussolini. Bini riesce a sganciarsi dai fascisti un’ora prima dell’attentato, corre da Giulio Paggio e lo avverte che stanno arrivando le squadre armate di mitra e bombe a mano con l’intenzione di fare una strage. Il giorno nella sede era prevista una riunione di quadri. La Volante rossa sgombera l’edificio ma fa credere che sia in corso l’incontro tenendo le luci accese e mettendo in funzione un registratore. Quando i Fascisti arrivano, pensando che la sede sia piena di compagni, iniziano a gettare le bombe a mano e a mitragliare. I militanti della Volante rossa già appostati rispondono al fuoco. Uno degli assalitori muore colpito da fuoco amico quindi giunge sul posto la polizia e arresta i fascisti. Tra di loro c’è anche Bini, l’infiltrato, il quale non può naturalmente svelare la propria identità. Da qui scaturisce un fatto tragico che Banfi mi raccontava commuovendosi a distanza di cinquanta anni. Il padre di questo ragazzo, appresa la vicenda, per la vergogna di avere un figlio fascista si suicida. È impossibile raccontare la storia della Volante rossa senza spiegare questo contesto, dove un padre può togliersi la vita perché un figlio di soli 14 anni è accusato di essere fascista. È difficile raccontare la storia di Bino Bini con le categorie interpretative di oggi”.

Esisterebbe anche una quarta fase nella ricostruzione cronologica del fenomeno Volante rossa: l’attentato a Togliatti. Dopo i fatti di luglio del 1948 sembra che l’ora X sia arrivata e si assiste a una iniziale ondata insurrezionale per molti versi spontanea. D’altra parte Longo e Secchia comprendono quasi subito che non sussistono né le condizioni di opportunità né le condizioni materiali per scatenare una rivoluzione. Possiamo dire che questo episodio segnerà l’inizio della fine della Volante rossa, in quel momento lanciata all’assalto di una caserma dei carabinieri a Milano?

“Il 14 luglio del 1948, Antonio Pallante, uno studente di destra colpisce Palmiro Togliatti con tre colpi di pistola. Il leader del Pci è ricoverato tra la vita e la morte in ospedale e la base del partito va allo sbaraglio: prende d’assalto le fabbriche e le occupa, vengono tagliate le comunicazioni tra nord e sud, a Livorno gli operai del cantiere navale costruiscono un autoblindo. In quelle ore concitate non ci sono ordini chiari. Solo successivamente alcuni dirigenti comunisti sono mandati a trattare con gli operai. Per esempio, a Livorno viene spedito Ilio Barontini, veterano della guerra civile spagnola, che visto l’autoblindo costruito coi pannelli delle navi dice: ‘Bravi bravi. Quanto ci avete messo a farlo? Quattr’ore? Ora in quattr’ore lo dovete risfà’. A Milano la Volante rossa piazza le mitragliette sui tetti della Innocenti e, in assenza di istruzioni chiare, armata di panzerfaust, decide si assaltare la caserma dei carabinieri della città dove sono custoditi i mezzi corazzati. L’informazione sull’azione giunge subito al dirigente della federazione del Pci milanese, Giuseppe Alberganti, che corre all’inseguimento del camion dei partigiani in procinto di scatenare una guerra. Li intercetta, li blocca e li invita a tornare a casa. Con un certo sconforto Paggio e compagni obbediscono all’ordine del Pci, consapevoli che la rivoluzione non si farà. Da lì inizia una crisi sul ruolo della Volante rossa che porterà all’ultima azione piuttosto dilettantesca nel gennaio del ’49: l’uccisione di Felice Ghisalberti – un fascista accusato dai partigiani dell’assassinio di Eugenio Curiel – e di Leonardo Massaza. Compiuti questi omicidi la polizia incastra la formazione. I capi della Volante rossa, Giulio Paggio, Paolo Finardi e Natale Buratto sono costretti ad espatriare in Cecoslovacchia con l’aiuto del Pci e molti altri sono arrestati, condannati e in alcuni casi graziati dal Presidente della Repubblica”.

Questo è il capitolo più drammatico nelle biografie dei componenti della Volante rossa. Alla morsa che stringe la polizia sulla formazione di Lambrate si aggiunge la “caccia alle streghe” orchestrata dal ministro dell’Interno Scelba contro i partigiani e la rottura di molti equilibri che consentivano le coperture. Oggi ci chiediamo cosa resti di quella esperienza non solo dal punto di vista strettamente storiografico? Resta la definizione di Wikipedia “partigiano e terrorista” attribuita a Giulio Paggio? Ci chiediamo quanti studenti conoscano il percorso di questi “Uomini ex” e il contesto di cui oggi parliamo? Possiamo pensare a una lettura più equilibrata e forse, in una parola, più “sana” di questi fatti? Senza filtri ideologici e qualunquisti? Chiudo con una frase di Paolo Finardi, tratta dal libro Ultimi fuochi di Resistenza di Massimo Recchioni: il capo della Volante rossa morto di recente, intervistato in un caffè di Bratislava, diceva: “Povera Italia, non ci si stupisce più di nulla. O peggio, ci si stupisce se c’è chi non vuole dimenticare la propria storia”.

“Premesso che tutti i protagonisti di quell’epoca sono morti e che pure la sinistra ha lasciato un vuoto su vicende come queste perché temeva le strumentalizzazioni, purtroppo, spesso, lo spazio lasciato libero è stato conquistato al revisionismo. Dopotutto questo è anche un pezzo di storia del Pci milanese sul quale in passato è mancata un’indagine approfondita. Non si è avuto il coraggio di affermate che La Volante rossa ha interpretato la rabbia incontenibile di chi, dopo la guerra, si aspettava un paese completamente diverso e invece si è trovato a camminare in mezzo a criminali e gerarchi fascisti rimessi in libertà, come il maresciallo Rodolfo Graziani, Carlo Emanuele Basile, Junio Valerio Borghese. Un dato pazzesco è che nel 1960, su 64 prefetti in carica 62 erano stati funzionari sotto il regime fascista. Tutti i 135 questori e tutti i 139 vicequestori avevano iniziato la carriera nel Ventennio. Tra questi – quasi 400 – solo 5 avevano combattuto durante la Resistenza. In Italia abbiamo assistito all’epurazione al contrario dalla polizia, dalla magistratura, dalla pubblica amministrazione, di chi ha lottato contro il regime. Questa è l’Italia che si sono trovati davanti Paggio e compagni nel 1945″.

(walter falgio)

Bibliografia essenziale

Massimo Recchioni, II tenente Alvaro la Volante rossa, Derive Approdi 2011

Massimo Recchioni, Ultimi fuochi di Resistenza, Derive Approdi 2009

Cesare Bermani, La Volante rossa, Colibri – Archivio Primo Moroni 2009 (nuova edizione)  

Carlo Guerriero, Fausto Rondinelli, La Volante rossa, Datanews 1996