Diventare poveri? Questione di un momento

La povertà nel 2009 ondeggia minacciosamente nel placido mare della classe media. Il mito del ragioniere statale o dell’insegnante di liceo, assurto a dignitoso modello di impiego nell’Italia del boom economico, può dirsi definitivamente tramontato. Oggi le classi medie entrano ed escono dalla linea convenzionale di povertà con una facilità inimmaginabile sino a pochi decenni fa. «L’impoverimento delle classi medie costituisce una preoccupazione che percorre le nazioni più avanzate», sentenzia il Premio Nobel per l’economia Paul Robin Krugman. Niente di più vero secondo il sociologo cagliaritano Remo Siza che di povertà oscillante se ne intende. Nel suo secondo saggio sul tema (“Povertà provvisorie”, Franco Angeli, 16 euro), Siza indaga cause, effetti e vittime di un fenomeno mutevole e contagioso. Tanto contagioso che, alla luce di recenti ricerche internazionali, le famiglie italiane a rischio povertà sfiorano addirittura il 50 per cento del totale. «La fonte di questo dato è autorevole», spiega Siza, «si tratta dell’indagine Ocse Growing Unequal? pubblicata a Parigi nel 2008».

L’Organizzazione internazionale per lo sviluppo economico titola “Crescita disuguale?” un importante lavoro sulla distribuzione dei redditi e sulla povertà nei trenta Paesi aderenti. Viene fuori che nella classifica sui salari annui netti medi dei lavoratori l’Italia si piazza nel fondo, in ventitreesima posizione. Con i suoi 21mila dollari per dodici mesi il salariato italiano supera di poco la media del portoghese e sta peggio del neozelandese. «A subire maggiormente impoverimento e crisi improvvisa in Italia», spiega Siza, «sono sempre più quei gruppi sociali che hanno con- L dizioni di vita adeguate ma che, da un momento all’altro, possono cadere in una situazione di precarietà». Le cause della deriva possono essere tante e non necessariamente di origine economica.

Sono soprattutto gli eventi di carattere demografico che da un giorno all’altro possono far precipitare una famiglia al di sotto della soglia di resistenza fissata dall’Istat, nel caso di due persone, a circa 1000 euro mensili. Ed ecco che una separazione, la nascita di un figlio, il sopraggiungere di una disabilità, la morte di un coniuge, costringono il nucleo familiare a una repentina inversione di marcia. I rapporti sociali si fanno difficili, le relazioni instabili, l’inquietudine e l’insicurezza per il futuro inquinano ogni cosa. La povertà improvvisa che dilaga nella classe media è tuttavia un fenomeno di breve durata. «Se osserviamo un gruppo di famiglie per lungo tempo, possiamo rilevare che il rischio di povertà è molto più diffuso anche se la maggioranza delle persone sta in questa condizione solo per un breve periodo», scrive Siza.

Spulciando le statistiche emerge che il 46 per cento di un campione di famiglie analizzato nel lasso temporale di otto anni cade almeno una volta sotto la soglia minima. Di questo, il 30 per cento riesce a uscirne dopo un solo anno. Il 41 per cento resta in difficoltà per almeno quattro anni, mentre il 3,5 per cento non riesce a migliorare la propria condizione nel corso di tutti gli otto anni oggetto dell’indagine. L’esperienza della povertà nel XXI secolo è una condizione temporanea, latente e non più confinata ai gruppi marginali tradizionali o ad uno strato inferiore escluso dalla società. La povertà della generazione “1000 euro” è anche causata da comportamenti viziati, indotti dalla fantasmagorica giostra del consumo a tutti i costi.

Secondo Siza la maggioranza delle famiglie italiane non è più in grado di creare attraverso il risparmio una rete di sicurezza rispetto a possibili crisi finanziarie. È molto più frequente «assumere impegni a lungo termine e contratti vincolanti per le rate dell’auto di pregio, per una ristrutturazione, prestiti elevati per beni di consumo», continua il sociologo. Il ricorso al credito al consumo per beni di lusso anche da parte del ceto medio è sempre più diffuso nei paesi avanzati e può paradossalmente essere causa di un tracollo.

Non c’è da stupirsi allora se nelle case dei nuovi poveri non mancano i telefonini ultima generazione o i televisori alta definizione. Remo Siza che ha già in preparazione un nuovo lavoro scritto a quattro mani con il sociologo caposcuola di Birmingham Pete Alcock, cerca comunque di individuare qualche soluzione al problema. L’idea guida può essere racchiusa in un’affermazione dello storico inglese David Ellwood: «Le persone non sono povere perché non hanno denaro. Sono povere perché non hanno un lavoro, perché i loro salari sono troppo bassi, perché stanno cercando di tirare su un bambino da soli, perché stanno attraversando una crisi».

Le difficoltà economiche delle famiglie possono essere contrastate agendo per questo sulla precarietà del lavoro, sulle insufficienze del sistema pensionistico, sul sistema fiscale, sui servizi alla persona, sulla politica delle abitazioni. «Pensando insomma», conclude Siza, «a un intervento su una pluralità di ambiti che preveda una riorganizzazione complessiva dello stato sociale».