Alberto Monticone, storico
e uomo politico, incarna
meglio di tanti altri
l’anima più sensibile
e raffinata del cattolicesimo democratico
italiano. Lui stesso riconosce
un qualche debito intellettuale
e soprattutto morale
nei confronti di personaggi quali
Vittorio Bachelet o Giuseppe
Lazzati. E come il giurista Bachelet,
ucciso nel 1980 dalle Brigate
rosse, e il costituente Lazzati,
anche Monticone si è formato
nell’Azione cattolica sino a
diventarne presidente nazionale
dall’80 all’86, anche lui come
loro ha conciliato il suo essere
cristiano con un deciso impegno
nella società. A cominciare dall’esperienza
parlamentare.
Monticone è senatore uscente,
eletto per tre legislature consecutive
nelle liste del Partito popolare,
prima, e della Margherita,
poi.
Alla domanda quale sia la
strada per riconciliare i cittadini
con la politica, la risposta dell’intellettuale
cattolico è decisa:
«Farsi guidare dai principi fondamentali
e dal patto tra culture
che ci indica la Costituzione
italiana».
Venerdì scorso alla facoltà
teologica di Cagliari, nel corso
delle iniziative di preparazione
al IV Convegno ecclesiale nazionale
di Verona promosse dalla
Diocesi e dal Meic, Monticone
ha parlato di “laicità cristiana
oggi”. Pietra angolare della raccolta
dei suoi articoli pubblicati
su “Jesus” dal 1987 al 1999 La
gioia di essere laico cristiano,
proposta come supplemento del
numero 2/2005 della rivista
“Orientamenti sociali sardi”. Da
storico e da credente, come scrive
il vescovo di Viterbo Lorenzo
Chiarinelli nella prefazione al libro,
Monticone si è fatto esploratore
attento dei variegati scenari
nazionali e mondiali, ecclesiali
e civili, nella prospettiva cara
al pastore evangelico tedesco,
deportato e ucciso nel campo
di concentramento nazista di
Flossenburg, Dietrich Bonhoef-
A
fer: «Noi viviamo nelle cose penultime,
ma crediamo nelle ultime
».
In Italia la laicità dello Stato
è in pericolo?
«Direi di no. Piuttosto è in pericolo
il suo valore per i cittadini.
Laicità di uno Stato significa
servizio per tutti a prescindere
dalle proprie idee politiche o religiose.
Sbaglia chi assume atteggiamenti
che contraddicono
questo principio».
Ritiene che gli ultimi interventi
della Cei con implicazioni
politiche, a partire dalle dichiarazioni
sulla fecondazione
assistita, siano sempre stati
opportuni?
«Parlando di opportunità si
evita un giudizio critico. Tuttavia
non vorrei esprimere un’opinione
di valore anche perché
proprio l’opportunità degli interventi
della Cei può essere valutata
solo dalla stessa Cei. I vescovi
italiani hanno il diritto e il
dovere di intervenire su temi
che a loro avviso sono importanti
e riguardano i principi della
morale naturale. Personalmente
da senatore ho votato a
favore della legge 40 sulla procreazione
medicalmente assistita
e poi da cittadino mi sono
astenuto al referendum. Ma ho
fatto tutto questo non perché
me lo hanno detto i vescovi o
per ragioni cattoliche ma perché
ero convinto che si dovessero
difendere i diritti naturali del
bambino».
Quindi sui messaggi della
Cei a proposito della legge 40
niente da eccepire?
«Certo, forse si potevano fare
con tempi e modi diversi. Ma
una critica sarebbe comunque
ingiustificata».
Soprattutto in questi ultimi
giorni post-elettorali, o meglio
di prosecuzione della campagna
elettorale, si ha la percezione
che la democrazia italiana
sia sempre più inquieta.
Perché?
«Questa percezione si è avuta
non solo negli ultimi giorni, ma
è già da qualche anno che la democrazia
italiana attraversa un
periodo di involuzione. L’aspetto
più delicato di questo problema
è il fatto che il rapporto tra
i cittadini e la classe politica si è
divaricato e l’ultimo sistema
elettorale ha contribuito ad aumentare
questa difficoltà. Un altro
aspetto di questo processo
involutivo è legato alla scarsa
attenzione che in generale viene
data ai temi della libertà e dei
valori costituzionali, quindi ai
principi che reggono il nostro
Paese».
A proposito, se dovesse individuare
i valori etici e morali
che ancora stanno alla base
della politica in Italia, quali indicherebbe
e in quali contesti
li collocherebbe?
«Nella politica italiana esistono
delle potenzialità valoriali
ancora grandi. Risiedono, come
accennavo, in primo luogo nei
principi fondamentali della Carta
costituzionale e nel metodo
che la Costituzione stessa ci indica.
Mi riferisco al patto di fondo
tra culture. Chi si rifà a questi
valori compie un passo importante.
In secondo luogo si
trovano nella logica dell’inclusione
di culture, di possibilità
sociali, volta a combattere l’emarginazione
economica, religiosa.
In terzo luogo la politica
dovrebbe seguire un altro metodo
fondamentale, quello che
parte dal territorio, dalle pluralità
dei livelli nel senso che intendeva
Montesquieu. I partiti
dovrebbero mettere radici nelle
realtà locali e in questo modo ritrovare
un tessuto etico che consideri
la politica una utilità comune
».
Qual è la sua idea di laicità?
«Intanto parlo di laicità cristiana
e aggiungo che non esiste
una teoria della laicità. Bensì
esistono i laici che esprimono i
principi del Vangelo e li assimilano.
Si tratta di una espressione
plurale che si incarna nella
molteplicità. Oggi c’è bisogno di
un forte tempo dello spirito senza
separarsi dalla società».