(10 luglio 2012) Profondamente convinto dell'importanza della testimonianza in tutte le sue manifestazioni ma preoccupato degli effetti non sempre curativi del web, mi soffermo su una riflessione che mi sta a cuore. Nella mia attività culturale e professionale mi trovo sempre più frequentemente a combattere una dinamica attualissima e pervasiva che molto ha a che fare con la rivoluzione tecnologica digitale: la "bramosia documentarista internettiana". Questa costante, cospicua ondata di immagini, video, contenuti che, da parte di chiunque, in qualunque contesto, quotidianamente ci travolge sul web, a proposito di qualsiasi argomento, troppo spesso senza criterio. E volutamente non mi soffermo sugli aspetti commerciali.
Quante volte capita di sottostare a schiere di cineoperatori e fotografi che nel terreno prediletto di matrimoni e cerimonie varie non perdono un minuto di evento dietro l'obiettivo? (Ma perché?). Lo stesso accade in una miriade di declinazioni, tutte meritevoli di amplissimi resoconti digitali da sparare on-line, purché almeno 5 persone calchino il pavimento di una piazza (su alcune iniziative "stracittadine" sono arrivato a contare su Facebook 300 foto tutte in fila… Un delirio di cui non capisco l'utilità, se non quella di affogare il casuale utente in un eccesso di testimonianza).
Azzardo una considerazione: per il giornalista e lo storico gran parte di questo immenso pseudoarchivio fluttuate nella Rete temo non servirà a nulla se prima o poi non saranno soddisfatte alcune condizioni essenziali: la classificazione, l'individuazione del contesto e la forma di archiviazione. (Al di là degli specialismi, suggerisco questo interessantissimo forum dell'Associazione nazionale archivistica).
Presumendo che l'aspirazione dei produttori compulsivi di mpeg sia quella di lasciare traccia, al di là di un consumo immediato e dell'esercizio del proprio ego, ritengo sia importante collocare con precisione e con metodo i nostri byte in film e immagini. I grandi fotografi lo fanno da tempo, e capita spesso di incappare su Facebook come su altri siti (si veda quello spettacolare di Antonio Saba) in archivi straordinari (per chi volesse specializzarsi sull'argomento, c'è perfino un master). Ma, comprensibilmente, non tutti possono applicare tecniche professionali sofisticate alla propria personale (quanto fugace) elaborazione e non avrebbe senso farlo.
E allora ci vengono in aiuto molti programmi pensati per organizzare i nostri archivi digitali. Tuttavia, quante volte capita di non riuscire a individuare nemmeno l'oggetto dell'immagine che ci interessa, o, come accennavo, a perdersi in un indistinto accumulo casuale, anche in questi grandi contenitori dedicati? Perché quei pochi e semplici accorgimenti prima richiamati (l'individuazione dell'autore, invece, pur nel sacro rispetto dei diritti di riproduzione, è l'ultimo di questi) non sono applicati. Risultato finale, almeno per me, è perdita di tempo e abbandono del servizio.
Tornando al valore della testimonianza nella contemporaneità (secondo quanto argomenta molto bene la filosofa Nicla Vassallo – ascoltare la bella intervista), ritengo sia sempre più indispensabile selezionare la quantità delle nostre esternazioni digitali per lasciar posto a una più ragionata (e attendibile) pubblicazione, anche per consentire ai posteri di poter fruire meglio del nostro lascito. Banalmente, tutti avremmo da guadagnarci, saremmo molto più liberi di scegliere e avremmo molto più tempo per dedicarci ad altro che non sia il solito palmare. Il mio è una sorta di appello a favore di una "testimonianza digitale compatibile". Senza mai dimenticare che Internet è un mezzo costantemente "sotto controllo".
(walter falgio)