(26 aprile 2014) Il 25 Aprile festeggiato ieri a Cagliari, vissuto da me intensamente come ogni volta, ha messo in luce due aspetti peculiari. Il primo, scontato, è che il 69esimo precede il 70esimo anniversario e che perciò, da domani, dobbiamo iniziare a preparare con maggiore impegno l’appuntamento dell’anno prossimo, magari con un’iniziativa al mese, sotto un unico nuovo logo da ideare. Il secondo aspetto che mi pare di carattere fondamentale e che in qualche modo assumo come pretesto per aprire una riflessione più ampia all’interno del Comitato cagliaritano “25 Aprile” a cui mi onoro di prender parte, riguarda invece il contenuto delle parole pronunciate dal sindaco Massimo Zedda.
Il primo cittadino ieri ha riportato il fermo intendimento del partigiano Nino Garau, presente in piazza, a non prendere la parola dal palco. Il comandante della Brigata “Casalgrandi” “da me invitato a parlare ha detto che preferiva stare tra la gente”, ha ricordato Zedda. Ho apprezzato molto questo richiamo del sindaco e ho provato ancora una volta a interrogarmi sul perché di questo gesto. Garau, nome di battaglia “Geppe”, in armonia con il suo stile e con le sue convinzioni, non partecipa ai saluti finali della manifestazione cittadina. Più volte ha avuto modo di spiegarmi che in quella circostanza devono parlare i rappresentanti delle istituzioni della Repubblica con il sindaco in prima fila.
Lui si ritiene sostanzialmente uno strumento. Attraverso il suo impegno nella guerra contro il nazismo e il fascismo, oggi, quei rappresentanti possono esercitare le regole democratiche. Per questo nella pubblica piazza Garau ha parlato una sola volta, a Spilamberto, dopo la liberazione del paese nell’aprile di 69 anni or sono. Dopodiché, a suo modo di vedere, i partigiani combattenti hanno passato definitivamente il testimone al popolo e ai suoi delegati. Evidentemente Garau è persona coerente, questa non è una novità, e non intende tradire i suoi ferrei principi.
Credo sia quindi più che mai doveroso raccogliere e onorare questo testimone lasciato in eredità dai partigiani. E nel farlo dobbiamo ogni momento chiederci qual è il metodo più efficace per trasmettere i valori basilari della nostra democrazia. Queste non sono e devono mai essere domande scontate e uso non a caso la parola “efficace”. Perché un messaggio importante deve essere veicolato con strumenti e modi adatti al fine di raggiungere più interlocutori possibili e soprattutto rispondendo con assoluta coerenza ai valori di cui ci facciamo interpreti. Per bandire, come ha ben scritto avantieri lo storico Enzo Collotti su il manifesto, quell'”anestesia del linguaggio, espressione in superficie dell’anestesia della memoria”.
Pertanto lancio due sfide al Comitato cagliaritano che con nuova energia deve rilanciare il lavoro in vista del Settantesimo, agli amici Franco Boi, Marco Sini e Vito Biolchini, ai rappresentanti del sindacato sempre generosamente presenti in questa partita, a tutti gli altri componenti. Rafforziamo e incrementiamo come già detto il programma di eventi, vediamoci al più presto, cerchiamo di pensare un calendario annuale a partire da subito dando spazio, come stiamo cercando di fare negli ultimi tempi, al dibattito culturale di carattere storico ma non solo. Dodici incontri per dodici mesi, per esempio. Lanciamo un concorso nelle scuole proponendo dei temi agli studenti. Istituiamo una giuria con la collaborazione degli insegnanti e premiamo tre ragazzi con l’opportunità di leggere il loro scritto dal palco il prossimo 25 aprile. Così la voce degli studenti sarà la nostra voce. Noi tutti facciamo un passo indietro, come ieri ha fatto Garau, e lasciamo che siano loro a parlare, quelli che a gran voce dichiariamo essere i primi fruitori del messaggio di libertà.
(walter falgio)