Archivio mensile:Maggio 2020

Un ricordo di Sergio Siglienti

(27 maggio 2020) Sergio Siglienti, intellettuale e banchiere sassarese, è mancato a Milano il 24 maggio scorso all’età di 94 anni. Ospito con grande piacere questo ricordo dello storico dell’economia, Alessandro Mignone. (wa.f.).

Con Sergio Siglienti se ne va un pezzo di storia economica e finanziaria del nostro Paese. Banchiere per una vita, nasce a Sassari il 19 maggio 1926 da Stefano, ministro delle Finanze nell’Italia non ancora liberata dal nazifascismo, poi per lunghi anni al vertice dell’Istituto Mobiliare Italiano e dell’Associazione Bancaria Italiana, e da Ines Berlinguer, appartenente a una delle più importanti famiglie sassaresi. Piccola aristocrazia isolana “senza feudi né decime”, il cui padre Enrico, tra i fondatori de “La Nuova Sardegna” e in contatto diretto con Garibaldi, fu tra i massimi interpreti degli umori di una città a forte tradizione mazziniana, repubblicana, democratica.

Entrambi i genitori furono tra i protagonisti della Resistenza capitolina: arrestato dalle SS nel suo ufficio, il padre scampò all’eccidio delle Fosse Ardeatine dopo una rocambolesca fuga orchestrata dalla moglie, seconda a nessuno in quanto a coraggio. Durante la guerra Sergio resta invece al riparo in Sardegna, ospite dello zio Mario Berlinguer, padre di Giovanni e di Enrico, quest’ultimo futuro e indimenticato segretario del PCI. Insomma, Sergio Siglienti cresce in un ambiente familiare colto, ricco di stimoli, con una lunga storia democratica e antifascista, che senza dubbio influisce sulla sua formazione e sul suo modo di essere, retto e integerrimo: “una persona perbene”, si legge negli articoli di questi giorni.

Un ambiente anche borghese e benestante, ma senza esibizionismi o ostentazioni, come egli stesso rammenta in una vecchia intervista del 1992, in cui racconta di quando accompagnò il padre al VI Congresso del Partito Sardo d’Azione a Macomer, nel luglio 1944: “Avemmo una disavventura durante il viaggio da Sassari a Macomer: la macchina che ci accompagnava si guastò, si bucò una gomma. Allora, chiedemmo un passaggio ad un camionista che trasportava mercanzia varia. Mio padre si mise in cabina con il guidatore, ed io all’aperto. Arrivammo così a Macomer. Il guidatore fu gentilissimo nell’accompagnarci senza sapere neanche chi fosse mio padre: sapeva solo che andavamo al congresso sardista e cambiò strada per accompagnarci esattamente lì. Quindi, il ministro delle Finanze arrivò così, altro che auto blu e la scorta di oggi!”.

Giovanissimo, nel 1951 Sergio Siglienti entra nella Banca Commerciale Italiana per volere di Raffaele Mattioli: non la lascerà più, nemmeno quando nel 1979 Francesco Cossiga gli propone la carica di direttore generale della Banca d’Italia al posto di Carlo Azeglio Ciampi, nominato Governatore. Nel 1987 diventa amministratore delegato dell’istituto milanese e tre anni più tardi presidente. Lascia nel 1994, quando l’IRI cede la banca di Piazza della Scala, avviandola alla privatizzazione. Da sempre sostenitore del connubio pubblico-privato, fu molto critico circa i modi dell’operazione e il ruolo di Mediobanca, tanto da pubblicare due anni dopo un libro dal titolo eloquente: Una privatizzazione molto privata: Stato, mercato e gruppi industriali. Il caso Comit.

Sarebbe riduttivo, tuttavia, ricordarlo solo come banchiere. Sergio Siglienti è stato anche uomo di cultura, raffinato e sempre pronto alla citazione: lasciata la banca assume infatti la presidenza dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, istituto napoletano fondato nel secondo dopoguerra da Benedetto Croce, succedendo a Giovanni Spadolini.

Alessandro Mignone

(Libero ricercatore, storico e archivista. Ha collaborato a lungo con l’Archivio storico di Intesa Sanpaolo, di cui è coautore della Guida generale ai patrimoni archivistici (Hoepli, 2016). Tra i suoi ultimi lavori, il documentario “De limo fertilis resurgo” sulle bonifiche in Sardegna (Padova University Press, 2020) e la biografia di Stefano Siglienti (in corso di pubblicazione).

L’isola dei militari

(23 maggio 2020) “L’arcipelago del movimento antibasi sardo è un’aggregazione trasversale e sfaccettata che interpreta un sentimento diffuso e si radica in uno specifico contesto territoriale e culturale: «‘Resistenza’ al colonialismo significava di più che semplice resistenza al dominio degli italiani. Come molte isole, e secondo una valutazione antica di secoli, se non di millenni, la Sardegna era ritenuta strategicamente importante. Inoltre, con le grandi estensioni di terra sottopopolata era il luogo ideale per l’addestramento militare», scriveva lo storico inglese Martin Clark nel 1989.

Le svariate forme di opposizione alla presenza militare nell’isola, piattaforma di servizio durante la Guerra fredda e ancor oggi nell’ambito degli interessi di una global Nato, sono oggetto di un ampio dibattito. Ne derivano i contorni di un tema di studio sulla storia politica e sociale della Sardegna del secondo dopoguerra tanto peculiare quanto poco indagato. Si propone qui una ricostruzione ancorché parziale della vicenda sarda prendendo le mosse dagli schemi interpretativi e dagli inquadramenti storici sul movimento nonviolento e antimilitarista nell’Italia del Novecento…”.

In due puntate su Storie in movimento un mio articolo che prova a tracciare una prima riflessione sulle diverse forme di opposizione alla presenza militare in Sardegna.

Prima puntata

Seconda puntata

Le fotografie sono state gentilemente concesse da Sandro Martis.

(wa.f.)