Archivio mensile:Ottobre 2019

Architettura: le radure o nuovi spazi di felicità urbana

(1 ottobre 2019) Riceviamo e volentieri proponiamo questo scritto dell’economista Lorenzo Bona e del progettista Luca Sanna. (wa.f.)

(Verso) design con self-control – (Towards) design with self-control

di Lorenzo Bona e Luca Sanna

Interrelazioni storicamente problematiche hanno tenuto e tengono insieme società, economie e i relativi territori di sviluppo. E al riguardo, assumono speciale rilevanza i rapporti tra gli spazi abitativi creati dagli uomini e la natura circostante, tra centro e periferia, tra gli scambi mutualmente vantaggiosi e quelli impoverenti.

Architetti, urbanisti, economisti, esperti e policy makers dibattono e si confrontano con crescente intensità sull’evoluzione di questi rapporti per capire come si possano realizzare o favorire equilibri socio-ambientali migliori di quelli emersi sinora. Si riflette sull’attuale configurazione dello sviluppo economico e urbano, valutando quali siano stati gli esiti prodotti dal suo stesso divenire, mettendo a confronto benefici e costi. Da un lato, non sfugge che tale sviluppo ha solitamente coinciso con fenomeni di urbanizzazione e di costituzione di città che sono stati, a loro volta, accompagnati da un innalzamento dei livelli di alfabetizzazione ed istruzione scolastica, di ingresso nel mondo del lavoro, di accesso a servizi di assistenza sanitaria e sociale; dall’altro, si osserva, tuttavia, in modo sempre più insistente, che il costo di questi miglioramenti socio-economici trova un riflesso in una preoccupante espansione dell’inquinamento di numerosi territori, nell’abbandono e nel degrado di molti centri urbani, nella creazione di periferie in crescente stato di emarginazione.

In questo quadro si allarga anche il senso di preoccupazione per l’inadeguatezza di molti luoghi abitati e costruiti ad offrire riparo sicuro davanti a shock naturali, come terremoti e maremoti, caratterizzati ancora da una terribile imprevedibilità, nonostante gli enormi progressi della scienza moderna.

Quale atteggiamento e che posizione assumere davanti a tutto ciò?

Possibili spunti per l’elaborazione di utili risposte a domande come questa potrebbero provenire da una riflessione, forse ancora largamente in divenire rispetto alle sue premesse teoriche, come pure nell’insieme delle possibili implicazioni, sul concetto di “Radura”.
Il concetto di radura appare declinarsi in vari modi a seconda del contesto di confronto.
Mentre sulla parte del pianeta in espansione demografica ci si interroga sui modelli di sviluppo urbano, nel mondo “antico” ci si confronta sulle strategie di conversione del costruito, alla ricerca di un miglioramento delle qualità dell’habitat che corregga gli errori delle espansioni del secondo dopoguerra, ma che allo stesso tempo, renda le città più vivibili per gradienti crescenti di felicità.
Partendo dalle ultime riflessioni, ci si chiede in fondo se possano esistere modelli di retrofit urbano capaci di generare nuove aspettative in termini di felicità, che inducano e sollecitino le persone all’inclusione, ad una modalità gentile e accogliente di confronto.
Prendono un ruolo in questa ottica alcune delle recenti teorie urbane, sulla funzione della vegetazione, orizzontale o verticale, nelle strategie di recupero, sulle modalità di riqualificazione degli scarti domestici, sulle scelte di transito veicolare e a pedali, sull’uso dello spazio vuoto, di risulta. Ed infine sulle modalità per coniugare al meglio il concetto di radura, di riparo, col concetto di abitato.
Assume pregnanza riflettere sul significato di questo concetto, che comunica un’idea di interruzione di continuità spaziale e ambientale, e il suo ruolo nell’ambito dello sviluppo delle nuove identità urbane e di una loro evoluzione che, a sua volta, apre nuove sfide.

Ad esempio, occorrerebbe capire meglio quanto debbano riacquisire importanza il non costruito, il demolito o l’effetto di crollo, spesso carico di significati profondi, e la capacità di rigenerazione urbana. E, nel far ciò, sarebbe pure interessante chiedersi se i vuoti urbani non rappresentino di fatto delle radure, delle isole urbane di riflessione, le nuove piazze; e se di contro, nel riacquisire centralità, la scuola, anche nelle sue forme architettoniche, non debba ritornare ad essere considerata una radura, un luogo benefico e di importanza strategica formale e culturale.

Non si tratta qui di individuare una modalità di rarefazione del costruito, una regola di compressione degli indici di edificabilità, ma di riflettere sul senso di discontinuità, sulla possibilità di generare nuove isole di felicità e di convivenza.

Provando a raccogliere questo invito a riflettere, verrebbe da dire – in una prospettiva interdisciplinare – che gran parte dei dilemmi appena evocati circa le prossime scelte di (ri)generazione urbana e di (ri)progettazione nel costruito e nel non-costruito sembrerebbe avere un elemento distintivo principale: quello che gli individui rilevano quando si trovano in situazioni connesse a ricompense a breve termine spesso in conflitto con ricompense maggiori ma disponibili in un tempo più lontano.

Sintetizzando al massimo tutto ciò in una domanda ci si potrebbe chiedere: in situazioni conflittuali come quelle appena descritte, come aumentare la probabilità di scelte lungimiranti associate a ricompense maggiormente premianti – e per questo anche più gratificanti sul piano della felicità – di quelle disponibili nel breve termine?

Considerate in questa prospettiva le cose dette sin qui a proposito di radura potrebbero indurre al bisogno di un suo stretto collegamento con l’idea di self-control. Nel senso che la rilevanza del self-control è palese proprio per situazioni come quelle a cui è stato fatto riferimento: e cioè quelle dove vi sia un conflitto tra scelte orientate a ottenere benefici più piccoli a breve e scelte dirette a ottenere benefici più gratificanti ma spostati più in là nel tempo.

A tale riguardo, diversi studiosi, specialmente in ambito di economia e psicologia sperimentale, hanno osservato che l’organizzazione di strategie a sostegno di comportamenti di self-control svolgerebbe una funzione fondamentale per promuovere livelli di felicità crescenti, sia sul piano individuale, sia su quello delle relazioni interpersonali. Ed è stato anche aggiunto che se schemi con sanzioni/punizioni per scelte impulsive possono essere strumentali all’organizzazione di tali strategie, un aiuto ancor più efficace per lo stesso scopo potrebbe derivare da schemi alternativi più soft, dove la punizione per l’impulsività non avviene ex-post ma simultaneamente all’interruzione di un determinato piano d’azione per il quale si era preso un impegno.

Un esempio può essere quello dell’avvio di un investimento tramite l’attivazione di una sequenza di comportamenti la cui interruzione risulta di per sé stessa costosa.

Può essere interessante osservare che la maggior efficacia di questi schemi più soft si manifesterebbe specialmente in contesti di scelte la cui complessità è strettamente dipendente dalla presenza di alternative connesse a punti di arrivo aventi una natura tendenzialmente ideale e astratta, come può ad esempio capitare quando si ragiona su obiettivi di altruismo, moralità e benessere fisico, e sulle sequenze di comportamenti necessari a tradurre sul piano della realtà e in via ottimale questi obiettivi.
Se è vero che l’interesse dell’architettura è da sempre orientato verso grandi traguardi ideali e che il dibattito contemporaneo che anima questa disciplina è particolarmente sensibile al tema della progettazione di nuovi spazi in grado di accogliere tutti con più altruismo e possibilità di inclusione sociale, allora diventa sempre più importante l’introduzione di schemi coerenti con la logica del self-control nei nuovi modelli di progettazione urbana.

È in questo senso che nell’ambito dell’architettura contemporanea, il concetto di radura – in raccordo con l’idea di self-control – potrebbe avere una speciale carica innovativa e suggerire, in modo lungimirante, nuovi orizzonti ideali per le prossime scelte in ambito di gestione e sviluppo degli spazi urbani.

Il ragionamento svolto sin qui non pretende chiaramente di fornire un rimedio definitivo per le principali distorsioni socio-ambientali prodotte dall’evoluzione dello sviluppo urbano. Tuttavia, esso potrebbe fornire almeno qualche direttrice per l’elaborazione di modelli di sviluppo urbano maggiormente inclusivi e capaci di offrire anche ai meno fortunati condizioni esistenziali più accettabili di quelle da loro godute sinora.

Tra le possibili direttrici allineate ad una più stretta interrelazione tra il concetto di radura e quello di self-control, si imporrebbe degna di speciale attenzione quella di una ridefinizione del piano/area orizzontale dello sviluppo urbano, ma anche di un contenimento dello spazio in cui lo sviluppo urbano assume una dimensione di sfida verticale, come capita nella competizione per torri e grattacieli (con ovvio riferimento a situazioni lontane da quelle di luoghi come San Gimignano in Italia!).

Alcune città moderne sembrano ormai decise ad applicare metodi di self-control alla rivitalizzazione dello spazio urbano, ridisegnando gli spazi di risulta, ripensando alla funzione dei vuoti e delle vie, degli spazi pedonali, orientati verso una rilettura dei tempi della vita e dei contatti umani, dello spazio per gli animali e della vegetazione.
A titolo di esempio il progetto “Biodiversity” in architettura rappresenta da quasi un decennio un esempio di lavoro, in un continuo interrogarsi sul ruolo che il design giocherà nel controllo e nel rapporto tra natura e artificio; tra progetti lungimiranti vantaggiosi e esempi depauperanti.

Un orientamento strategico di questo tipo, dovrebbe tuttavia essere frutto di scelte sociali largamente condivise e a tal fine aiuterebbe promuovere un grande dibattito pubblico – tra esperti, rappresentati delle istituzioni e cittadini – avente almeno due finalità principali:

• (ri)esplorare limiti e orizzonti ancora aperti legati all’idea di una ipotetica coesistenza, teoricamente priva di contrasti e dicotomie insuperabili, tra natura e spazi artificiali creati dagli uomini.

• verificare la reale compatibilità tra il naturale e l’artificiale, e se intercorra una relazione biunivoca e intercambiabile tra i due termini, come sembrano asserire certi progetti che puntano a replicare e/o innestare biodiversità e vita degli ecosistemi naturali in ambienti del tutto artificiali – e per questo dipendenti dall’uomo – sulle facciate di edifici di cemento; o come purtroppo capita di pensare guardano a certi spazi urbani distrutti da terribili calamità naturali, ricreati poi negli stessi posti sulla base di nuove idee progettuali e tecnologie ritenute capaci di controllare un eventuale ripetersi di quelle calamità, ma nonostante ciò incapaci di riacquisire la vitalità sperata, o per via di uno spopolamento spontaneo e imprevisto, o per via di una nuova calamità che per imprevedibili motivi sfugge ancora alla possibilità di un pieno controllo umano.

Il self-control suggerirebbe di meditare con cautela davanti a certe mode e tendenze nel mondo della progettazione che, se sviluppate in modo totalizzante, potrebbero indurre l’architettura contemporanea a perdere di vista la centralità dell’ambiente naturale rispetto a quello artificiale, pur sempre tecnologicamente necessario, e trasformare così buone intenzioni in esiti non più armonicamente componibili e per questo destinati a evocare contorni che potrebbero diventare pericolosi quanto, evidentemente, inclinati oltre il controllo.

Note bibliografiche:

Bruni L. (2010), “The happiness of sociality. Economics and eudaimonia: a necessary encounter”, Rationality and Society, 22(4), pp.383-406.Rachlin H. (2000), The science of self-control, Harvard University Press, Cambridge.

Clément G. (2008), Il giardiniere planetario, 22 Publishing, Milano.

Augé M. (2008), Nonluoghi. Introduzione a Un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano.

Progetto Radura, Stefano Boeri Architetti, Università degli Studi, Milano, Cliente Interni magazine.

Khan S., Colau A., “City properties should be homes for people first – not investments”, The Guardian, Tue 3 Jul 2018, https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/jul/03/city-properties-homes-people-first-london-barcelona