(5 novembre 2014) Esiste una domanda ricorrente e scontata che i giornalisti ti rivolgono troppo spesso?
“Certo, è anche quella che mi procura un po’ di fastidio: Come ci si sente nell’essere il nipote di Antonio Gramsci?“.
Perfetto, allora meglio evitare questa domanda…
“Grazie, mi hai risparmiato…”.
Antonio Gramsci jr si abbandona a una contagiosa e stereofonica risata. Uomo gioviale e cortesissimo, recentemente in Sardegna da Mosca per un ciclo di incontri dedicato alla presentazione del suo ultimo libro sulla famiglia della nonna Giulia Schucht. Lontanissimo dagli stereotipi intellettualoidi, biologo, musicista, dotato di spiccata empatia, con indosso una t-shirt rossa dell’associazione cagliaritana intitolata alla memoria del nonno, ha accettato di essere intervistato. Il Gramsci 49enne sta lavorando da anni a una attenta ricostruzione della vita del grande pensatore sardo attraverso lo studio degli archivi privati. Qui ci riporta sprazzi e profili delle biografie dei protagonisti di questo scavo all’insegna di una peculiarità forte del proprio carattere familiare: la modestia, che Antonio pronuncia con l’accento rigorosamente sulla “i”.
Nel tuo album di famiglia si legge perfino di Lenin ad una festa a Ginevra nel 1905, mascherato con un “giubbotto rivestito di pelo” e intento a coprire di coriandoli le persone che gli stavano intorno. La descrizione è di Eugenia Schucht, sorella di nonna Giulia. Colpisce, nel racconto, la straordinaria apertura culturale dei tuoi avi, il cosmopolitismo, la indubbia inclinazione rivoluzionaria, il fascino dei “viandanti”. Studiare i ritratti di casa ti ha aiutato a comprendere te stesso e la personalità dei tuoi antenati e la società russa degli anni Venti. Tra questi due profili del tuo lavoro, qual è quello a cui tieni di più?
“Entrambe le cose. Ho coltivato, da una parte, la ricostruzione di alcuni tesori molto importanti e interessanti della storia russa, prima di tutto la nascita del movimento rivoluzionario dove mio bisnonno Shucht era uno dei protagonisti. Dall’altra ho voluto meglio comprendere lo spirito della mia famiglia che a sua volta mi aiuta a comprendere l’approccio di Gramsci verso di essa”.
Racconti delle condizioni di vita nella Russia del 1920 attraverso Apollon Schucht, il tuo bisnonno rivoluzionario, bolscevico aristocratico, anche commissario per la nazionalizzazione delle banche espropriate dopo l’Ottobre.
“Mio bisnonno era responsabile della nazionalizzazione delle banche di Mosca, la città commerciale della Russia zarista. Quel lavoro era molto delicato: non si trattava di un semplice saccheggio, anzi, Lenin spesso si schierava contro le nazionalizzazioni rozze delle fabbriche e delle banche, lasciava molte aziende ai lori proprietari promuovendoli a cosiddetti ‘direttori rossi'”.
Apollon si rivolge alla compagna di Lenin, Krupskaja, amica di famiglia, perché non ha i soldi per mangiare. Questi episodi restituiscono uno spaccato molto interessante della società russa dell’epoca, che fa emergere un’etica comportamentale forte e in qualche modo inflessibile, nonché i prodromi della grande crisi economica di quegli anni.
“Krupskaja risponde a Schucht per conto di Lenin anche se poi si verifica un fatto misterioso, di cui non tratto, per cui Giulia fu subito chiamata al lavoro nei servizi segreti. Certamente dopo questo episodio la situazione economica degli Schucht migliora”.
Tuttavia la compagna di Lenin suggerisce in prima battuta ad Apollon Schucht di valutare l’ipotesi di trasferirsi in Siberia o al sud, “dove le condizioni di vita generali sono migliori e dove c’è più bisogno di gente”. Una risposta tanto lucida quanto severa che oggi evidentemente ci sfugge.
“Dietro questa storia c’è l’etica dei bolscevichi, il culto della modestia. Questo è molto importante. Se tu ricordi, nelle memorie della sorella di Giulia, Eugenia, c’è un brano dove lei descrive come prendeva il te insieme a Krupskaja. Loro due, la compagna del dirigente politico della Russia e la sua segretaria, avevano diviso una zolletta di zucchero. Nonostante al Cremlino fossero spedite ingenti quantità di cibo che però erano sistematicamente inviate negli orfanotrofi. I bolscevichi di quei tempi rifiutavano sul serio i privilegi. Lo stipendio di un dirigente anche di massima carica secondo la legge non doveva essere superiore allo stipendio di un operaio qualificato. Era molto diverso dal mondo di oggi. Noi lettori avremmo potuto aspettarci che Krupskaja donasse al suo amico di famiglia tutti gli aiuti di cui lui aveva bisogno. Invece no, la risposta era degna dell’etica bolscevica”.
Riferisci di un inedito colloquio tra Lenin e Gramsci il 25 novembre del ’22, sulla base di una testimonianza scritta di Camilla Ravera donata a tuo padre Giuliano, che sarebbe all’origine della fuoriuscita di Bordiga dalla direzione del Pcd’I. Raul Mordenti scrive: “Il Pci di Gramsci e di Togliatti nasce proprio in quelle ore tête-à-tête fra i due rivoluzionari”.
“Si tratta di un episodio che si trova nelle fonti sovietiche ma che non è mai stato raccolto in Italia. In questo incontro Gramsci aveva convinto Lenin che il settarismo di Bordiga fosse sbagliato anche se il leader della rivoluzione, almeno sino al ’21, appoggiava il primo dirigente dell’allora Pcd’I. Probabilmente, in quella circostanza, Gramsci fu promosso a futuro leader del partito comunista in Italia, nonostante si fosse recato a Mosca soltanto come semplice delegato. In seguito Gramsci fu molto corretto nei riguardi di Bordiga e non si vantò mai di questo colloquio, ragion per cui non trapelò nulla. All’origine di questo atteggiamento c’era sempre la modestia”.
Il tuo libro restituisce dettagli intensissimi della storia d’amore tra Antonio e Giulia, chiarisce e sfronda da luoghi comuni il rapporto tra i due nonché dagli eccessi strumentali e dall’ignoranza. Ti chiedo se da questa storia d’amore emerga un aspetto che la simbolizzi più di tanti altri, qualcosa che la possa racchiudere.
“Sì. È una frase molto triste che ti anticipo e che vorrei utilizzare come titolo del mio prossimo libro: Siamo stati così poco insieme. È il passo di una lettera di Giulia a Gramsci degli anni Trenta”.
Qual è il ricordo di tua nonna Giulia? Si è mai soffermata con te a raccontare la sua storia di vita?
“Mai. C’è da dire che quando lei morì io ero un ragazzino, avevo 15 anni. Negli ultimi mesi della sua vita comunicava con fatica, anche se aveva conservato una lucidità straordinaria. I nostri colloqui erano sereni qualche anno prima, quando lei si informava sui miei successi nello studio come farebbe qualsiasi nonna. Di Gramsci non mi raccontava mai e non parlava mai di politica”.
L’anticomunismo per alcuni in Italia era ed è una sorta di ossessione. A tuo avviso si giustifica ancora una esasperazione dei toni e una opposizione intransigente, ben consapevoli del fatto che sui principi basilari dell’antifascismo non ci potranno mai essere facili conciliazioni?
“Oggi ha poco senso qualsiasi ‘anti’. Bisogna essere creativi in tutte le attività. Bisogna evitare di sprecare energie nella contrapposizione fine a se stessa”.
Che vita fa a Mosca il nipote di Gramsci?
“Sono molto impegnato. Faccio il professore di scienze e di musica. Porto avanti delle ricerche sulle costruzioni matematiche in musica, la mia grande passione. Insegno principalmente alla scuola italiana “Italo Calvino” nell’ambasciata d’Italia a Mosca. Suono nei vari teatri della città diversi strumenti e dirigo due studi di percussioni. Scrivo articoli e libri. Ho due figli ai quali vorrei trasmettere l’interesse per la storia della famiglia. Lentamente io racconto loro sempre qualcosa”.
In Russia si studia Gramsci?
“Lo si studia nelle Università ma la gente semplice non lo conosce per nulla. È molto più conosciuto Togliatti, associato al contratto eccezionale tra Fiat e Lada che ha prodotto la famosa 128 russa. Togliatti promosse gli interessi economici italiani in Unione Sovietica, per questo è più famoso”.
Che idea ti sei fatto, soprattutto analizzando le lettere ai figli, della funzione del padre assolta da Gramsci? Come ha educato i suoi figli o come avrebbe voluto farlo?
“Lui, secondo me, avrebbe voluto che i propri figli crescessero come uomini in grado di costruire un grande futuro”.
(walter falgio)