(4 marzo 2014) Si è riparlato della strage di Sutri, ieri, nel corso della rassegna organizzata dalla Cineteca sarda, La Sardegna e la guerra, a partire da un bel documentario curato nel 1993 dal giornalista Dino Sanna per la sede regionale della Rai. La vicenda dei 17 giovani militari sardi trucidati a Montefosco il 17 novembre 1943, sicuramente poco conosciuta e per diversi aspetti indeterminata, si inserisce nel novero delle rappresaglie e dei massacri perpetrati dalle truppe tedesche contro italiani dopo l’Otto settembre in violazione delle convenzioni internazionali.
Si tratta di decine di azioni violente, non riconducibili alle “regole” del diritto di guerra, come Cefalonia, Boves, Fosse Ardeatine, Marzabotto, Caiazzo, solo per citare le più note che poi si sommano a numerose altre circostanze solo parzialmente classificate e indagate. Per farsi un’idea si vedano per esempio il capitolo dedicato sul Dizionario della Resistenza Einaudi, le considerazioni lì riportate di Enzo Collotti e Tristano Matta o il saggio di Lutz Klinkhammer.
Sulle stragi naziste consumate sia dall’esercito regolare sia dai reparti speciali o dalla polizia, esiste piuttosto un’ampia bibliografia memorialistica e pubblicistica, non direttamente di carattere storico, e soprattutto esiste una triste contabilità che, in base a uno studio di Gerhard Schreiber, totalizzerebbe circa sessantamila vittime tra partigiani, militari, uomini, donne e bambini uccisi tra il 1943 e il 1945.
Il grave eccidio di Sutri, come peraltro molti altri eventi rapportabili, non è stato oggetto di studi storiografici compiuti. Ragione plausibile è che non si sia mai giunti a una definzione giudiziaria dei fatti e quindi alla produzione di una base documentaria su cui indagare. L’unica opera sull’avvenimento l’ha scritta con lodevole impegno un ex insegnante di liceo, Gaetano Gugliotta, nel 2005, Arrestati a Capranica. Trucidati a Sutri (Edizioni Vesa), prendendo spunto da un articolo pubblicato nel 1993 dallo stesso Dino Sanna sull’Almanacco di Cagliari diretto da Vittorio Scano. Gugliotta assembla testimonianze e le rare fonti a disposizione, tra le quali una relazione ufficiale del Comune di Sutri riportata su L’Antifascismo in Sardegna e gli atti del processo celebrato contro il sardo, padre Saveriano Luciano Usai, e i suoi accoliti dal febbraio 1945 a Oristano, accusato dal tribunale militare di alto tradimento, spionaggio, arruolamento illecito e istigazione alla corruzione.
Usai ebbe un ruolo e probabilmente anche delle responsabilità non secondarie nella vicenda sutrina in quanto, al soldo del sottosegretario della Rsi, Francesco Maria Barracu, tentò di fare proselitismo tra i soldati sardi sbandati nel Viterbese con l’obiettivo di ingrossare le fila della Repubblica sociale. Chi non aderiva, in genere, era additato come pericoloso traditore e quindi facile bersaglio. Il Saveriano si cimentò anche in una fortunosa incursione, paracadutandosi in Sardegna nel giugno del ’44, che gli costò appunto l’arresto, il processo e la condanna a 30 anni di reclusione poi amnistiati.
Sulla morte dei sardi, infine, sono riportate due righe sul già citato Dizionario Einaudi nel paragrafo sulle azioni nel Viterbese ed è stata recentemente discussa anche una tesi di Laurea, di Laura Calmanti, Università della Tuscia (relatore Leonardo Rapone), sulle stragi, oltre che di Sutri, anche di Bieda, dove il 29 ottobre del ’43 furono trucidati 14 civili.
Bisogna riconoscere pertanto un grande merito a Dino Sanna prima di tutto per aver riportato alla luce dal 1993 una storia che, al di là delle puntuali commemorazioni nel territorio laziale, è sostanzialmente caduta nell’oblio. E di averlo fatto con la grande professionalità di un cronista scovando l’ultimo testimone, il superstite che nessuno ricordava. Quel Rinaldo Zuddas originario di Sardara che nel ’93 abitava a Silì dopo il suo onorato servizio di custode all’ex aeroporto militare di Oristano-Fenosu.
Il Viterbese nel ’43
La zona del Viterbese dove si trovavano i militari sardi tra ottobre e novembre del ’43 è soggetta a un massiccio presidio da parte dei tedeschi. Nei primi giorni di ottobre, subito dopo lo sbarco alleato a Salerno, Hitler aveva ordinato di allestire la linea difensiva Gustav a sud di Roma, sulla direttrice di Cassino, che tagliava la penisola dall’Adriatico al Tirreno.
La zona immediatamente a nord delle linee, soprattutto quella vicina alla capitale, era ritenuta strategicamente così rilevante tanto che il comandante in capo delle truppe tedesche sul fronte occidentale, feldmaresciallo Kesselring, stabilì di insediarvi il suo quartier generale, esattamente a Monte Soratte, vicino a Nepi.
Sutri era attraversata da una importante via di comunicazione come la Cassia, strada costantemente sotto controllo perché fondamentale per gli approvvigionamenti. In questa zona calda convergono dopo l’8 settembre gruppi di militari senza più guida che, nel caso dei sardi, sono diretti a Civitavecchia per raggiungere l’isola. L’attesa in questo territorio è la scelta quanto mai più pericolosa, forse più della lotta partigiana e certamente dell’adesione alla Rsi. Dalla stessa Civitavecchia convergono anche gli sfollati dopo i pesanti bombardamenti alleati del maggio.
I sardi provengono dalle più svariate destinazioni. Emilio Coni, una delle vittime di Ales, giungeva in Italia dalla Croazia dopo una marcia devastante. Lo stesso Zuddas arriva dalla Toscana, dove seguiva un corso per avieri sabotatori. Altri erano in fuga o in diserzione. Molti di questi militari, come è il caso di Nino Garau, entreranno comunque nelle formazioni partigiane.
Nella Resistenza Viterbese opera tra gli altri la Banda Buratti, che prende il nome dall’azionista Mariano, attiva già da settembre sui monti Cimini. La formazione si rende responsabile anche dell’abbattimento di un ricognitore nemico.
Le truppe tedesche, quindi, agiscono in un territorio in parte controllato da formazioni partigiane e per questo non rinunciano a pesanti rappresaglie anche contro i civili per spezzare il consenso verso le formazioni resistenti. Tra le azioni più crudeli si annoverano quelle che prendono avvio dalla vasta azione di rastrellamento del 24 ottobre. È del 29 ottobre la strage di Bieda già richiamata, ne seguirà un’altra a Montalto di Castro e sarà del 17 novembre quella di Sutri.
L’eccidio dei sardi
In questo tentativo di scompaginare le azioni partigiane con la repressione i tedeschi operano spesso con il supporto di delatori che senza scrupoli indicano nomi e cognomi di persone riconducibili alla Resistenza. È pertanto molto probabile che l’arresto dei 18 sardi, più altri 4 del posto come Salvatore Alessi, avvenga in seguito a una delazione e venga messo in relazione con azioni di sabotaggio quali quella subita dalla Wehrmacht a Monterosi con la distruzione di una ventina di autoblindo, o con il fatto che i sardi non avessero aderito alla Rsi sotto le già accennate pressioni di Luciano Usai.
Lo stesso Zuddas, si evince molto chiaramente dalla testimonianza rilasciata a Sanna, era entrato in possesso di una radio e di armi di mezzi tedeschi. Viene arrestato e disarmato nel tentativo di resistere, nel podere del conte Porta a Capranica, e lui stesso racconta che i tedeschi a colpo sicuro si dirigono nella stalla per recuperare la radio del blindato. Qualcuno, evidentemente, aveva riferito gli spostamenti dei sardi sin nei minimi particolari.
Assieme agli altri 21, è interrogato e trasferito. Liberati i più anziani, dopo altri finti interrogatori e il tentativo di mediazione fallito del parroco del paese laziale, Luigi Micheli, tutti i sardi arrestati “nominativamente” sono caricati su un camion con le mitragliatrici e trasferiti da Capranica a Montefosco, nelle campagne di Sutri.
È qui che avviene il massacro con metodi da guerriglia terroristica. Dopo aver lanciato una bomba fumogena i tedeschi crivellano di colpi i sardi, non è chiaro se di fronte o alle spalle. Zuddas riesce a fuggire in maniera rocambolesca, colpito a un braccio e a una gamba. Si nasconde e striscia nel torrente, torna sul luogo dell’eccidio per vedere se alcuni dei suoi compagni fossero ancora vivi e assiste alla scena raccapricciante davanti ai corpi sventrati nel fango. Attraversa il bosco nella pioggia, in condizioni al limite raggiunge Sutri, bussa alla porta di un cocchiere che rischiando la sua vita e quella della sua famiglia, lo accoglie. Qui viene subito soccorso dal medico del paese e addirittura trasferito all’ospedale superando un posto di blocco tedesco.
La resistenza civile di una comunità
Zuddas deve la vita agli abitanti di Sutri che, come in tante altre occasioni, sono stati protagonisti di importanti azioni di resistenza civile. Dal cocchiere al medico al proprietario al prete ai carabinieri alle suore. Tutti sono coinvolti. È una intera comunità che riconquista l’opportunità di scegliere il proprio destino dopo vent’anni di inalveamento, di fughe e di abdicazioni. È sempre nella zona dell’alto Lazio, a Caprarola, che la famiglia Brunetti, oggi Giusti tra le Nazioni, nasconde per 8 mesi un’altra intera famiglia di ebrei romani, i Veneziano, sicuri condannati alla deportazione
La “nazione allo sbando”, come viene definita da Elena Aga Rossi nel suo saggio del ’95, tenta di ricompattarsi anche attraverso queste scelte, attraverso la scelta di opporsi all’annichilimento nel tentativo di arginare la frana del rompete le righe. Il senso di questo coraggio e di questa dignità, lo ritroviamo in una miriade di azioni, piccole e grandi, che hanno consentito a decine di persone di avere salva la vita.
(walter falgio)