(7 novembre 2013) C’è una storia che mi svuota, che mi getta in una tristezza abissale. Che mi toglie la parola. È la storia dei bambini ebrei della cittadina ucraina Bjelaja Zerkov, massacrati dai nazisti nell’agosto del ’41. È una storia che nei suoi dettagli agghiaccianti non posso raccontare e tantomeno ripensare.
Accenno qualche passaggio tratto da Massacri e società tedesca nel Terzo Reich: interpretazioni e dilemmi dello storico Saul Friedländer: “L’8 agosto, una sezione del Sonderkommando, guidata dall’Obersturmführer August Haefner, giunse in città. Tra l’8 e il 9 agosto, una compagnia delle Waffen-SS (battaglione incarichi speciali) aggregata al Kommando fucilò tutti gli ebrei locali, stimati intorno a 800-900 persone, tranne un gruppo di bambini di età inferiore ai 5 anni. Il 22 agosto anche i bambini furono giustiziati”.
I piccoli di Bjelaja Zerkov furono inizialmente lasciati in vita “benché ridotti in condizioni pietose e privi di ogni sostentamento”, scrive un altro storico, Hans Mommsen. Erano una novantina, compresi alcuni di pochi mesi. “Quando Helmut Grosscurth – continua Mommsen – ufficiale di Stato maggiore della 295a divisione di fanteria, venne messo al corrente dell’accaduto e cercò, intervenendo personalmente presso il gruppo di armate Sud, al comando del quale si trovava il feldmaresciallo von Reichenau, di impedire l’uccisione anche dei bambini, non solo le sue richieste caddero nel vuoto, ma venne perfino ripreso, mentre il comandante sul campo, che reclamava l’eliminazione anche di «questa covata», ottenne il via libera al completamento dell’«operazione»”.
I particolari della cosiddetta “operazione” li potete trovare nel saggio di Friedländer sulla Storia della Shoah Utet. Ma non esagero nel dire che occorre parecchio fegato per leggere queste pagine. Io le ho lette una volta e mi è bastato per non dimenticarle. Soprattutto oggi.
(walter falgio)