Archivio mensile:Aprile 2013

Un luogo della memoria per Cagliari

(19 aprile 2013) Mercoledì 24 aprile alle 17,30 alla Società degli Operai, l'Istituto sardo per la storia della Resistenza e dell'autonomia, insieme al gruppo studentesco Unica 2.0 e al Comitato "25 aprile", presenterà un appello per costruire un luogo della memoria a Cagliari. Parteciperanno la presidente della Provincia, Angela Quaquero, e il sindaco, Massimo Zedda. Scarica la locandina.

"Pensiamo a un nuovo luogo della memoria per la città – recita l'appello – Un luogo dove riconoscerci, dedicato soprattutto alla memoria vicina e misconosciuta del Novecento. Un progetto ambizioso, come deve essere, che concili l'innovazione con la pertinenza scientifica e la funzione didattica. Un luogo che ci guidi nella nostra storia, e quindi nella storia di tutti, per esempio attraverso i profili di grandi uomini che hanno vissuto (e pure raccontato) Cagliari. Basterebbe citare Antonio Gramsci, Emilio Lussu, i fratelli Giaime e Luigi Pintor, per cominciare a disegnare un quadro straordinario e universale, nel contempo rispettoso di un "lessico famigliare" condiviso dai cagliaritani".

La memoria – soprattutto per chi conosce la storia e per chi scrive la storia onestamente – non deve essere fine a se stessa. La memoria deve essere verificata, corroborata con altre fonti, documenti, prove che da una dimensione ristretta la proiettino verso la dimensione più ampia e oggettiva del dibattito scientifico. Meno che mai la memoria non può e non deve prestarsi a strumentalizzazioni di stampo revisionista o negazionista. L'esempio del rapporto dell'SS Kurt Gerstein, ricordato in un bel saggio di Valentina Pisanty, è sintomatico: il tecnico della disinfestazione cede al meccanismo dell'iperbole nel rappresentare una montagna di cadaveri in un lager descrivendola alta sino a 40 metri. Per questo la sua testimonianza è immediatamente tacciata di menzogna e delegittimata in toto dai negazionisti. La memoria non può incorrere nella logica Falsus in uno, falsus in omnibus. Per questo occorre un progetto, un percorso strutturato, basato sulla perizia e sulla ricerca, che porti a definirne e basarne i contenuti.

D'altra parte questi contenuti non possono e non devono nemmeno scaturire dalla sacralizzazione degli eventi e dall'overdose di retorica. I contenuti devono riguardare il più possibile il nostro vissuto. Nostro in quanto appartenenti a una comunità definita, e non solo genericamente alla sfera umana. La comunità può vivere di riflesso o direttamemente i grandi passaggi epocali (e nel caso di Cagliari abbiamo molti esempi: dai più immediati come i bombardamenti alla prestigiosa galleria di cittadini e antifascisti illustri). Nel contemporaneo si tratta comunque di un vissuto ancora tangibile, di un patrimonio a portata di mano. E' una memoria vicina che, ripeto, deve essere "trattata" con gli adeguati strumenti di verifica. Ovviamente sarà più facile condividere la biografia di un illustre "prossimo" rispetto a quella di un illustre "estraneo". Non appaia questo un ragionamento semplificatorio. E' necessario rielaborare, riproporre e organizzare temi ad oggi noti, anche se frammentati e discontinui.

Altro percorso utile nello studio dei contenuti e in particolar modo nella dimensione didattica è l'analisi, su altri piani e con altre griglie interpretative rispetto al passato, della stringente attualità. Alcuni eventi, anche se lontani geograficamente ma vicinissimi cronologicamente, non possono non essere al centro della riflessione. L'incubo concentrazionario, per esempio, non è soltanto un reperto del passato. Oggi si ripropone, diversamente dal passato (è importante sottolinearlo più volte), ma con un profilo certamente inquietante. Mi limito a citare la Corea del Nord e a rimandare a questo articolo.

Queste solo alcune tra le mille ragioni sparse che ci portano a ritenere sensato (e forse anche doveroso) immaginare un percorso coordinato di rivalutazione ed elaborazione culturale e scientifica rivolto soprattutto al Novecento. E ciò appare ancor più coerente in una città carica di stratificazioni storiche e stimoli culturali come è Cagliari.

(walter falgio)

Morte e internamento a portata di mouse

(1 aprile 2013) Sui diritti umani non si transige. All Human Rights for All, recitava il titolo di un bel film collettivo italiano del 2008. Che in Corea del Nord, o Repubblica popolare, esistano da decenni campi di prigionia, però non è una novità. Non sono una novità nemmeno le continue denunce di Amnesty International. Oggi, con Google Maps, l'ong è in grado di provare l'esistenza di nuove strutture di internamento che ingloberebbero interi villaggi: "L'analisi delle immagini ha rivelato che, dal 2006 al febbraio 2013, la Corea del Nord ha costruito 20 chilometri di perimetro intorno alla valle di Ch'oma-bong (70 chilometri a nord-nordest della capitale Pyongyang) e ai suoi abitanti, con nuovi punti d'accesso controllati e possibili torri di guardia. Gli analisti hanno anche individuato la costruzione di nuovi edifici che potrebbero essere dormitori per operai, forse collegati all'espansione dell'attività mineraria nella regione. Questo sviluppo punta a rafforzare i controlli sul movimento della popolazione che vive nei pressi del campo n. 14, annullando in questo modo la distinzione tra i detenuti del campo di prigionia e gli abitanti della valle. Amnesty International è preoccupata per le condizioni di vita della popolazione residente all'interno del nuovo perimetro e per le future intenzioni del governo nord-coreano".

Secondo le testimonianze raccolte dall'organizzazione per i diritti umani, nei campi nordcoreani costruiti in aree disabitate delle province di Pyongan sud, Hamkyung sud e Hamkyung nord, si muore a causa di malnutrizione, violenze, torture, freddo. Intere famiglie, bambini compresi, sono internate solo perché un loro parente era internato. Molti prigionieri non sono a conoscenza dei presunti reati di cui sarebbero accusati. L'affetto, la socialità, la solidarietà, i naturali legami familiari, si dissolvono. La morte è un evento indifferente che all'occorrenza si trasforma in un'occasione per racimolare una scodella di cereali.

Queste le parole di Jeong Kyoungil, arrestato la prima volta nel 1999 e detenuto nel campo di Yodok tra il 2000 e il 2003: "Vedere prigionieri che muoiono succede frequentemente, direi ogni giorno. A essere sincero, a differenza di una società normale, è un fatto che provoca piacere anziché tristezza, perché chi trasporta una salma e la seppellisce riceve un'altra scodella di cibo. Io mi occupavo delle sepolture. Quando un responsabile del campo mi chiamava, radunavo un po' di persone e seppellivano i cadaveri. Dopo aver ricevuto cibo extra, ci sentivamo contenti invece che tristi".

Recentemente è stato presentato anche un documentario. È la storia agghiacciante di Shin Dong Hyuk, internato nella Total control zone del Camp 14 da quando è nato. Fuggito passando sul cadavere di un suo compagno appeso al filo elettrico del recinto. Costretto a denunciare la madre e a vederne l'esecuzione perché complice dell'evasione del fratello. "Non ho provato nulla, il concetto di famiglia mi era estraneo. Non sapevo che si doveva piangere, tutto quello che avevo imparato è che si doveva obbedire alle regole del campo". L'immagine di Shing Dong ha già fatto il giro del mondo: quella dove lui mostra il braccio deformato dalle torture e dai lavori di fatica subiti sin da ragazzino. Il documentario intitolato proprio Camp 14 ha appena vinto la sezione dedicata al Festival du film et forum international sur le droits humains di Ginevra.

"Durante il nazismo chi stava fuori non sapeva bene cosa accadeva nei lager, ma oggi siamo informati di quel che avviene in Corea del Nord!", ha detto il regista di Camp 14 Marc Wiese. Parole che oggi nessuno vorrebbe sentire pronunciare e pochissimi hanno il coraggio di ascoltare sino alla fine. Oggi che questo orrore non può essere tenuto nascosto al costante flusso informativo globale, verificabile quando si vuole dallo schermo dei nostri pc. Oggi che la salvaguardia dei diritti umani non dovrebbe più essere in discussione, in qualunque angolo del mondo si verifichino gli abusi: dagli Stati Uniti alla Cina, dalla Russia all'Arabia Saudita, dal Sudan all'Eritrea, dal Sahara occidentale alla Siria, e via discorrendo. Ma anche in Italia: e il caso Aldrovandi insegna. 

Mentre nelle ultime settimane sui cieli di Pyongyang si addensano le ennesime nubi di guerra alimentate dalle storiche tensioni con il sud e i giganti americano e giapponese preoccupati dall'escalation nucleare, il Consiglio Onu dei diritti umani ha stabilito di istituire una commissione d'inchiesta sui crimini contro l'umanità in atto nella Corea del Nord.

(walter falgio)