(26 febbraio 2013) Che bella notizia: Primo Levi torna in classifica. Succede in queste ultime settimane, a partire dal 13 gennaio scorso. Il "Corriere della Sera", per esempio, che divulga i dati elaborati da Nielsen Bookscan, quel giorno piazzava Se questo è un uomo al ventesimo posto tra i volumi di narrativa italiana più venduti. L'elaborazione si riferiva alla settimana dal 31 dicembre al 6 gennaio. Dopodiché è stata un'escalation. Dal 19esimo al 14esimo, sino al settimo posto nell'elenco stilato il 3 febbraio in base alle vendite dal 21 al 27 gennaio. Nelle pagine culturali del quotidiano del 24 febbraio, il classico risultava ancora al 14esimo posto.
È una novità? Non esattamente, dato che l'opera è sempre in ristampa da quando è stata ripubblicata da Einaudi, nel 1958. È piuttosto un bel segnale. Attorno alla giornata della memoria, puntualmente, le case editrici lanciano e rilanciano titoli sul tema. Come è il caso per esempio delle memorie di Denis Avey, il fuciliere inglese prigioniero di guerra che racconta di essersi introdotto per qualche giorno nel lager di Auschwitz III, dall'E715, scambiando la sua uniforme con la casacca di un deportato ebreo e corrompendo i kapò. Storia pazzesca e controversa – sulla quale è nato un acceso dibattito viste le perplessità dello Yad Vashem – ma che ha venduto decine di migliaia di copie nel mondo. Basterebbe questo per spiegare come l'argomento Shoah, da qualunque parte si guardi, riscuota sempre e comunque grande interesse? Certamente no.
La storia di Levi è su un altro piano, sia narrativo che teorico. Il libro è in circolazione da 66 anni, dato che la prima edizione in 2500 copie, oggi rarissima, uscì per i tipi di Francesco De Silva l'11 ottobre 1947. Il suo racconto è tra quelli più crudi ed efficaci che un testimone diretto dell'olocausto abbia mai potuto restituire, complici le grandissime capacità dell'autore. La lettura è catartica e spiazzante, perfino imbarazzante nella sua essenzialità. Sin dal suo esordio però la critica non ebbe modo di sbilanciarsi, "nel denunciare il senso di raccapriccio che aveva colto il recensore": si veda in proposito questa interessante rassegna. In pochi colsero da subito il senso profondo di quello sconvolgimento. Tra questi, Italo Calvino, che nel 1948 su "L'Unità", scriveva:
"Io credo che tutti gli scampati che abbiano provato a scrivere le loro memorie su quella terribile esperienza si siano sentiti prendere da quella pena desolata: d'aver vissuto un'esperienza che passa il limite del dicibile e dell'umano, un'esperienza che non potranno mai comunicare in tutto il suo orrore a nessuno, e il cui ricordo continuerà a perseguitarli col tormento della pena. Per i fatti come i campi d'annientamento sembra che qualsiasi libro debba essere troppo da meno della realtà per poterli reggere. Pure, Primo Levi ci ha dato su quest'argomento un magnifico libro Se questo è un uomo, (ed. De Silva, Torino 1947) che non è solo una testimonianza efficacissima, ma ha delle pagine di autentica potenza narrativa, che rimarranno nella nostra memoria tra le più belle della letteratura della Seconda guerra mondiale".
Riscoprire che nel 2013 quella "cronaca" da Buna-Monowitz-Auschwitz III, oltre a essere un capolavoro della letteratura del Novecento, sia ancora un successo editoriale, spiega una volta di più quali livelli di forza possa raggiungere una testimonianza.
(walter falgio)