(15 marzo 2012) Recentemente l'amico Alessandro De Roma ha scritto uno stimolante intervento sul suo sito intitolato, Cosa vuol dire essere sardo? Sono poche righe che suggerisco di leggere perché, se posso usare un termine improprio ma efficace, smitizzano, una delle tante immagini stereotipate dell'isola che spesso i sardi sono i primi ad alimentare. Nello specifico si tratta di quella vulgata che dipinge la Sardegna come terra dove si mangiano solo alimenti genuini, dove si rispetta l'ambiente, dove tutti sono ospitali. De Roma conclude scrivendo che "I sardi mi piaceranno di più quando smetteranno di mangiare nei piatti di plastica e di sentirsi migliori (meno sardi?) per questo. E quando smetteranno anche di pensare che un sardo (in quanto sardo) non possa sentirsi a casa propria che in Sardegna".
Il tema sollevato da De Roma, che tra l'altro è un affermato romanziere e un fine intellettuale, è in grado di suscitare dibattiti infiniti. Io, qui, raccogliendo anche una sua sollecitazione – "Credo che abbiamo un grande bisogno di un tempo critico che ci aiuti a seguire strade migliori (a partire dalla salvaguardia del nostro territorio) e dal rispetto per la natura. Spero soprattutto che sia un'occasione per aprire un vero dibattito su questi temi" – metto in fila qualche riflessione all'impronta.
Il primo riferimento, direi spontaneo, è alla "Costante resistenziale". La teoria di un illustre studioso come Giovanni Lilliu che, espressa in un convegno sassarese del 1971, si inserisce a pieno titolo nel dibattito sardista-identitario che da Camillo Bellieni, Raimondo Carta Raspi, passa negli anni Cinquanta e Sessanta per Antonio Pigliaru, Renzo Laconi, Emilio Lussu, Michelangelo Pira e tanti altri. Un dibattito che in questa sede è impossibile richiamare ma che ha segnato profondamente il profilo culturale di generazioni e che si è trasposto, purtroppo anche in forme banalizzate, nel campo politico o pseudo tale.
In estrema sintesi Lilliu ritiene che i sardi, nonostante aggressioni di secoli, siano riusciti a "conservarsi sempre se stessi" nella "fedeltà di origini autentiche e pure". E' nel conflitto antico con i cartaginesi che si fonda il tessuto culturale, il contesto socio-economico, la struttura spirituale e giuridica "dell'attuale mondo sardo delle zone interne". Un concetto che certamente andrebbe sviluppato a dovere – e per questo rimando proprio al volume di Ilisso "La costante resistenziale" curato da Antonello Mattone – ma che, come è intuibile, si presta a molte, facili, strumentalizzazioni e volgarizzazioni. Non ultima, ritengo, quella che porta a definire la nostra isola luogo "puro e incontaminato" in ogni sua manifestazione.
Lilliu, che argomentava in modo molto articolato la sua teoria, come riporta Antonello Mattone nell'introduzione all'opera citata, scriveva anche: "Chi guardi con serenità i fatti culturali della Sardegna e le sue possibilità attuali fuori da schemi utopistici e da preconcetti illuministici, potrà convincersi, dopo una certa riflessione, che resistendo nello spazio dei "moderni" pastori delle zone interne, l'antica struttura pastorale nuragica ha assolto una sua funzione storica e non ha mancato di offrire qualche prodotto positivo. Essa ha assicurato con la transumanza, nella divisione politica, l'unità e l'integrità etnica, culturale e storica dei Sardi, legando pastori a contadini e, da ultimo, a operai industriali […]. Ma bisogna anche ammettere che vista oggi, in un contesto di civiltà europea, tale struttura è diventata non dicesi da terzo mondo, ma è semplicemente fuori del mondo contemporaneo; è un meraviglioso oggetto etnografico. Nelle miriadi di Sardegne costituitesi in età nuragica è la spiegazione di fondo della caduta della civiltà antica "regionale", della mancata "nazione sarda".
L'effetto moltiplicatore di queste suggestive considerazioni, se decontestualizzato, è facilmente immaginabile. Quindi, lo ripeto, è necessario inserire tutto nel ragionamento complessivo sulla "resistenzialità" che Lilliu introduce a partire dall'opera del 1963, "La civiltà dei Sardi".
Per chiudere questa breve parentesi cito, anche come possibile responso al ragionamento di De Roma, un passaggio celebre di Emilio Lussu tratto da un articolo pubblicato su "Il Ponte" del 1951. "Alla vecchia società patriarcale, individualista e immobile, subentra una Sardegna che comincia ad essere collettiva e in movimento. I principi che reggevano la prima sono scomparsi, né sono ancora fissi quelli che dovranno reggere l'altra. Per cui si possono fare oggi dei rilievi con molta serenità. Le tanto decantate nostre qualità ataviche – sentimento dell'onore, coraggio, disciplina, lealtà, fedeltà alla parola data ed altre consimili – sono favole. Non siamo né migliori né peggiori degli altri".
(walter falgio)