Archivio mensile:Settembre 2011

Il partigiano Atzei di Gonnostramatza

(29 settembre 2011) Un importante convegno sul partigiano Renzo Atzei si svolgerà a Gonnostramatza (65 chilometri da Cagliari) dal 7 al 9 ottobre. All’iniziativa, promossa dal Comune e dalla Biblioteca gramsciana di Peppe Manias, collabora anche l’Istituto sardo per la storia della Resistenza. Relatori e temi sono di grande interesse soprattutto per chi desidera approfondire la storia dei partigiani sardi e della Resistenza italiana nei Balcani. Suggestivo il profilo dato alla prima sessione del convegno dedicata alle implicazioni che il Proclama Badoglio dell’8 settembre 1943 ha avuto sulle varie anime della militanza politica antifascista (e non solo) in Sardegna.

(walter falgio)   

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Da venerdì 7 ottobre a domenica 9 la sala parrocchiale di Gonnostramatza ospita un convegno sul partigiano Renzo Atzei e sui riflessi dell’8 settembre 1943 sui militanti sardi. L’iniziativa organizzata dal Comune e dalla Biblioteca gramsciana Onlus con la collaborazione scientifica dell’Issra, si articola in due sessioni e mostre con la partecipazione di storici e studiosi. La prima giornata coordinata da Luigi Manias propone un’analisi sulle motivazioni che portarono le varie anime della militanza politica in Sardegna a compiere scelte diverse dopo il proclama Badoglio. Si parlerà degli anarchici sardi dalla guerra di Spagna al 25 aprile (Costantino Cavalleri), dei cattolici dopo l’armistizio (Carlo Felice Casula), della scelta dei militari (Daniele Sanna), dei sardi nella Repubblica sociale e della sinistra durante la guerra di Spagna e Salò (Paolo Soddu). Inizio dei lavori alle 16,30. Lo stesso giorno si inaugureranno le mostre fotografiche e documentarie “Una lunga difficile stagione” e “Gramsci in palco”.

Sabato 8 a partire dalle 18,30 Giuseppe Manias illustrerà la relazione “Gramsci raccontato per immagini”. La sessione di domenica coordinata da Walter Falgio sarà dedicata invece all’impegno di Atzei nella Resistenza in Jugoslavia (Giuseppe Manias), ai sardi partigiani nei Balcani (Simone Sechi) e agli italiani nella guerra di liberazione jugoslava (Costantino Di Sante). Chiudono le relazioni di Aldo Borghesi su partigiani e resistenti della Marmilla e di Sergio Goretti sull’esperienza della Divisione italiana partigiana “Garibaldi”.

Renzo Atzei è una figura esemplare della Resistenza italiana. Nato nel 1921 a Gonnostramatza si arruola nel ’40 nella Guardia di Finanza. Dopo il corso al Battaglione allievi di Roma è destinato alla Legione di Trieste e al Battaglione in Jugoslavia. Atzei confluisce nelle formazioni partigiane nei Balcani in seguito all’8 settembre distinguendosi in molti combattimenti contro i tedeschi. Il partigiano cade eroicamente a quota Maidan il 21 aprile 1945 sotto una raffica nemica. Alla sua memoria è stata concessa la medaglia d’argento al Valore militare, la Guardia di Finanza gli ha intitolato una caserma a Porto Viro in provincia di Rovigo e un guardacoste Classe “Meattini”.

Hanno collaborato alla riuscita del convegno le associazioni Terra Gramsci, Casa Museo Gramsci di Ghilarza, NUR, Enrico Berlinguer di Sassari e l’Istsaac di Nuoro.

Informazioni: Biblioteca Gramsciana, bibliotecagramsciana@libero.it, 349/3946245 – 347/7289905

Un deputato vorrebbe sostituire il 25 aprile

(28 settembre 2011) Se l’onorevole Garagnani oggi può essere eletto deputato secondo le regole di una democrazia lo deve soprattutto a quel “25 aprile” che ora vorrebbe sostituire. Riporto agenzia di stampa.

(walter falgio)

GOVERNO: GARAGNANI, ACCOLTO ODG PROPOSTA SOSTITUIRE 25 APRILE
(ANSA) – BOLOGNA, 28 SET – Il governo ha accolto “come raccomandazione” l’ordine del giorno presentato dal parlamentare bolognese del Pdl, Fabio Garagnani, contenente la proposta di sostituire il 25 aprile con il 18 aprile 1948, giorno delle elezioni politiche vinte dall’allora democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi. Proprio oggi, si legge in una nota, “ho ricevuto dal servizio di controllo parlamentare la conferma scritta dell’accoglimento ‘come raccomandazione’ da parte del Governo del mio ordine del giorno che, in sede di discussione della manovra finanziaria del 14 settembre, impegnava ed impegna il Governo a sostituire la festività del 25 aprile con il 18 aprile 1948 che, a parere mio, è la vera data fondante ed unificante della democrazia italiana”. In aggiunta, spiega Garagnani, “anche in riferimento a San Petronio il Governo ha accolto, nello stesso ordine del giorno, la mia richiesta sulla base della quale ciascun comune, fra cui ovviamente Bologna, necessita di mantenere la propria identità storica e religiosa celebrando i propri santi patroni”.

New realism e Pensiero debole

(24 settembre 2011) New realism contro Pensiero debole: non si tratta di una disquisizione esclusiva riservata a ristretti circoli filosofici. Bensì di una stimolante discussione, aperta anche da Maurizio Ferraris, filosofo, professore all'Università di Torino, con ricadute importanti sul dibattito culturale, in Italia e all'estero. Ferraris dice, in estrema sintesi, che il populismo mediatico, quindi politico e comune, ha ricevuto un fiancheggiamento ideologico (in parte involontario) dalla corrente di pensiero contemporanea del Postmoderno. Il problema maggiore, secondo il filosofo, è la rinuncia totale, avanzata da quella che lui chiama, "scuola del sospetto", alla ricerca della verità, delle certezze, delle sicurezze tipiche della modernità. "L'dea che si debba dubitare di tutto ciò che viene assunto come ovvio e viene dichiarato pubblicamente, nasce come esercizio critico, ma può avere esiti a dir poco dogmatici", spiega Ferraris su Left-Avvenimenti, che nella disputa rappresenta ovviamente solo una faccia delle tante medaglie. Uno di questi esiti "nefasti" è il già richiamato populismo dei media, secondo cui, "purché se ne abbia il potere, si può pretendere di far credere qualsiasi cosa". A Maurizio Ferarris ha risposto soprattutto Gianni Vattimo, autorevole teorizzatore del Pensiero debole. Riporto un suo brano tratto da "Repubblica". "Se si può parlare di un nuovo realismo – scrive Vattimo – questo, almeno nella mia esperienza di (pseudo)filosofo e (pseudo)politico, consiste nel prender atto che la cosiddetta verità è un affare di potere. Per questo ho osato dire che chi parla della verità oggettiva è un servo del capitale. Devo sempre domandare "chi lo dice", e non fidarmi della "informazione" sia essa giornalistico-televisiva o anche "clandestina", sia essa "scientifica" (non c'è mai La scienza, ci sono Le scienze, e gli scienziati, che alle volte hanno interessi in gioco). Ma allora, di chi mi fiderò? Per poter vivere decentemente al mondo devo cercare di costruire una rete di "compagni" – sì, lo dico senza pudore – con cui condivido progetti e ideali. Cercandoli dove? Là dove c'è resistenza: i no-Tav, la flottiglia per Gaza, i sindacati anti-Marchionne. So che non è un verosimile programma politico, e nemmeno una posizione filosofica "presentabile" in congressi e convegni. Ma ormai sono "emerito"". Il dibattito prosegue. Nel blog di Vattimo si trova un'ampia rassegna stampa.

(walter falgio) 

Quanti festival, non saranno un po troppi?

(13 settembre 2011) Riporto un intervento pubblicato l'11 settembre scorso su La Nuova Sardegna a firma di Giovanni Pala, associazione "Sa Janna Abberta" (che non conosco). E' una lettera al giornale garbata, in parte condivisibile (in parte no, soprattutto quando generalizza sui cosiddetti "intellettuali" estranei ai problemi della Sardegna) ma che riporta elementi di verità riguardo per esempio al provincialismo e alla omologazione di molte iniziative culturali (per fortuna non tutte), finanziate con fondi pubblici e che si svolgono nell'isola. In più, a prima vista sembra uno scritto sincero senza secondi fini.

(walter falgio)    

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Quanti festival, non saranno un po troppi?

di Giovanni Pala
associazione culturale Sa Janna Abberta

Una trasformazione radicale non è un pranzo di gala. Chi cerca di portarla avanti si confronta continuamente con se stesso, e prima di cercare di cambiare gli altri e la società o pensare di liberare la propria patria deve impegnarsi a costruire se stesso e relazionarsi bene con gli altri, e coinvolgere tutti ed in particolare i maleducati, che spesso sono le persone che soffrono di più. In Sardegna, in un contesto di totale assenza di serie politiche culturali, economiche e sociali, viviamo una situazione disastrosa, caratterizzata dalla distruzione ambientale, dalla deriva individuale, dalla mancanza di crescita demografica, dal disagio psicologico, sociale ed economico.

E nel frattempo è passata un’altra estate di festival musicali e letterari. Ogni anno il numero di questi “eventi” cresce, ed esponenzialmente cresce anche lo spazio che i media ad essi dedicano: da quello che ci viene mostrato la Sardegna sembrerebbe una grande fucina culturale in tutti i campi, un calderone da cui scaturiscono in ogni direzione idee nuove e innovative, temprate comunque in un’identità forte e specifica come quella sarda. Io ho invece l’impressione che non sia così. Da un lato perché, malgrado questi festival vengano organizzati in Sardegna, essi sono per la massima parte emanazione di un pensiero globalizzato, affatto originale e soffrono di molto provincialismo. Dall’altro perché questi presunti simposi danno di più l’idea di essere un palcoscenico di esibizione per intellettuali, artisti (reali o presunti tali) che vogliono tenere banco con le loro posizioni comodamente adagiati sulle sdraio in prima fila: vogliono bagnarsi di popolo.

Sono per la massima parte intellettuali democratici bene integrati nel sistema Italiano: editoria, musica, etc., che sono però lontani dalla statura intellettuale e morale di umili ricercatori quali Antonio Pigliaru o Michelangelo Pira, che negli anni ‘60, pur con scelte anche sbagliate (come progetti di fallimentare industrializzazione, sia statalista che di grandi gruppi), parteciparono alle lotte e ai progetti di rinascita con passione e impegno. Gli intellettuali odierni, invece, cercano e ottengono premi letterari o un posto di lavoro in qualche istituzione, e vengono blanditi e foraggiati dai partiti (dopotutto fanno consenso); qualcuno di loro esprime anche, con buone maniere e modi forbiti, una blanda forma di “indipendentismo educato” e le buone maniere. Ognuno di loro, però, è tragicamente lontano dalla situazione di disgregazione individuale, comunitaria, sociale, economica e ambientale e linguistica che la Sardegna ha vissuto e continua a vivere… L’opposizione a questo dramma è frammentaria, improvvisata, individuale; non c’è un partito o un movimento che la interpreti e che la medi. Tutto ciò che si riesce fare è manifestare il disagio in varie forme di autocommiserazione e autolesionismo. Gli intellettuali, invece, pur essendo completamente estranei a questa sofferenza, come mosche cocchiere pontificano.

Le crisi di Porto Torres, Porto Scuso e Porto Vesme, il disastro ambientale dei siti industriali, la disoccupazione in generale e quella delle donne e dei giovani in particolare, il disastro demografico e antropologico… Tutti questi problemi, i problemi della Sardegna e del popolo sardo, sono estranei a qualsiasi festival.

The revolution will not be televised

(9 settembre 2011) Gil Scott-Heron era una grande mente, poeta, musicista, attivista afroamericano, nato a Chicago nel 1949. E' morto a 62 anni il 27 maggio scorso in un ospedale newyorkese. Testimone scomodo degli ultimi quarant'anni di storia americana, figlio di un giocatore di football, fu attratto dal movimento Harlem renaissance e soprattutto dal guru Langstone Hughes. Il suo esordio risale al 1969 con il libro The vulture, e poi, l'anno dopo con il primo disco, Small Talk at 125th & Lenox AveLa lotta dura per il riconoscimento dei diritti civili dei neri d'America, Scott-Heron, la fatta tutta. "La rivoluzione non sarà trasmessa in televisione", gridava il titolo di una delle sue composizioni più celebri, "the revolution will be live". Oggi, a parte qualche ricordo d'obbligo, poco si parla di Gil Scott-Heron. Forse perché il poeta era appena uscito da un periodo tormentato della sua vita, tra carcere, droga e alcolismo. Forse perché il suo pensiero indipendente non risultava più funzionale alle logiche del new-new deal statunitense. La trasmissione di Radio 2, Moby Dick, ha rispolverato solo dopo la sua morte, il 31 maggio, una bella intervista realizzata a luglio 2010 e mai andata in onda prima (ho salvato il file audio e qui lo ripropongo: minuti 36,10 – 57,18). Rispondendo alla domanda, "Che stagione attraversa adesso il suo Paese", Scott-Heron diceva: "C'è ancora tantissimo da fare, non basta gridare al miracolo il primo giorno di primavera, non basta che sia stato eletto Obama". La vera rivoluzione, per Gil Scott-Heron, risiede nel cambiamento, e il cambiamento "si esprime prima di tutto nella testa delle persone".

(walter falgio)  

La morte del romanzo (e di tutto il resto)

(4 settembre 2011) Ogni tanto (anche oggi) mi rileggo questo bell'articolo di Paolo Di Stefano pubblicato sul Corriere della sera ad aprile scorso. Con realismo e ironia dice delle cose che molti pensano e sulle quali, credo, sia necessario riflettere. A proposito, mi pare molto buona la cinquina dei finalisti al Campiello 2011, con particolare riferimento a Federica Manzon e ad Andrea Molesini.

(walter falgio)