Archivio mensile:Agosto 2011

Identità sarde e cafonerie varie

(26 agosto 2011) La frase di Giuliano Amato pronunciata recentemente al meeting riminese di Comunione e liberazione, "troppa Sardegna nella vita politica italiana", è un pretesto che mi invita a riordinare alcuni concetti. Intanto una premessa: l'ex presidente del Consiglio riporta una percezione tanto distorta quanto purtroppo diffusa che associa l'isola a certe smodate abitudini, ivi consumate e ivi esternate, da esponenti della politica italiana. Ma, sul tema, non perdo nemmeno un secondo del mio tempo. Non mi interessa nulla argomentare su gossip, veline, prostitute d'alto bordo e bestiari vari associati alla figura del big politico di turno. Il mio giudizio di cittadino sull'attività dell'uomo di governo si esprime in tutt'altro terreno. Mi interessa piuttosto capire quali immagini della Sardegna possibilmente più reali siamo oggi in grado di trasmettere, al di là della frase di Amato e del vespaio eccessivo da essa suscitato. Pertanto, nel ridotto spazio di un post in Rete, approfitto per mettere in fila alcuni punti fermi. Il primo riguarda l'identità. Sono convinto che non esista un'identità sarda codificata bensì si possa parlare di numerose identità, sommate nel tempo, per certi versi in conflitto, che oggi riemergono in forme dell'arte, della ricerca, della letteratura. La continuità di alcuni fattori antichi, delle "antichissime memorie delle genti primitive" di cui parlava Antonio Bresciani, effettivamente si può ritrovare frammista con altri stili e linguaggi modernissimi, per esempio, in talune espressioni musicali. (In proposito mi vengono in mente i bei lavori di Gavino Murgia). La "patria terra dei padri" evocata da Emilio Lussu ne Il cinghiale del diavolo, insomma, rivive secondo fattori che possono essere mutevoli, interpretati e distinti. Il secondo punto riguarda la caratteristica del sardo che spesso viene definita "fierezza" e "orgoglio". La Sardegna è la terra che ha eleborato un proprio ordinamento giuridico "perfettamente autonomo e originario", osservava Antonio Pigliaru ne La vendetta barbaricina, un sistema non derivato e non subordinato. Frutto certamente di una separatezza prima di tutto geografica ma anche di una forte consapevolezza e dignità. Anche in questo caso i segni indelebili di una simile tradizione sono ancora presenti, e positivamente canalizzati, soprattutto nei caratteri e nei temperamenti. Terzo punto: cosa c'entra ciò che ho fin qui brevemente descritto con veline e cafoni. Assolutamente nulla. L'approccio alla cultura e ai simboli di un popolo, con tutte le sue infinite sfaccettature, deve essere sempre cauto, rispettoso, timido al fine di evitare brutte figure. Tutto il resto, a mio modesto avviso, sono solo chiacchiere che vivono e muoiono nel tempo di una giornata.

(walter falgio)                          

25 aprile, 1 maggio, 2 giugno: chi ha voluto queste ricorrenze

(19 agosto 2011) Il 25 aprile, il 1 maggio e il 2 giugno in Italia sono considerate feste civili per legge. Rinfreschiamo la memoria: si tratta di norme del ’46 e del ’49. L’istituzione della Festa della Liberazione dal nazifascismo precede tutte le altre, a dimostrazione prima di tutto del sopravvento spontaneo popolare, della grande attesa e del valore assunti da questa ricorrenza. Fu l’ultimo governo sotto la Luogotenenza del principe Umberto II, presieduto da Alcide De Gasperi, a stabilire che, limitatamente al 1946, “a celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale”. Si assunse come giornata simbolo quella che segnava la liberazione delle città del nord Italia. E’ utile ricordare che il primo governo De Gasperi del periodo transitorio era composto da personaggi del calibro di Emilio Lussu, Giorgio Amendola, Pietro Nenni, Palmiro Togliatti, Antonio Segni, Ugo La Malfa, Mauro Scoccimarro. Il 25 aprile, con il 2 giugno, il primo maggio e altre ricorrenze fu quindi “istituzionalizzato” con la legge 260 del 27 maggio 1949 (governo De Gasperi V). Da notare che, all’epoca, le feste della Repubblica, della Liberazione, del Lavoro e dell’Unità nazionale erano le uniche civili assieme a un lungo elenco di appuntamenti religiosi. Obiettivamente, è davvero difficile credere che oggi emerga un’esigenza così inderogabile (qualunque essa sia) di accorpare alle domeniche successive, e quindi snaturare, ricorrenze della memoria, della dignità, della storia di un popolo, volute semplicemente dai padri della Repubblica.

(walter falgio)    
      

Link alla Costituzione repubblicana

DI SEGUITO RIPORTO LE NORME ISTITUTIVE DELLE FESTE CIVILI DELLA REPUBBLICA

Decreto luogotenenziale n. 185 del 22 aprile 1946 “Disposizioni in materia di ricorrenze festive”. Articolo 1: “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale”.

– Legge 27 maggio 1949 numero 260Disposizioni in materia di ricorrenze festive”

Articolo 1, in vigore dal 1 giugno 1949

1. Il giorno 2 giugno, data della fondazione della Repubblica, e dichiarato festa nazionale.

Articolo 2, in vigore dal 1 giugno 1949

1. Sono considerati giorni festivi, agli effetti della osservanza del completo orario festivo e del divieto di compiere determinati atti giuridici, oltre al giorno della festa nazionale, i giorni seguenti:

tutte le domeniche;

il primo giorno dell’anno;

il giorno dell’Epifania;

il giorno della festa di San Giuseppe;

il 25 aprile: anniversario della liberazione;

il giorno di lunedi dopo Pasqua;

il giorno dell’Ascensione;

il giorno del Corpus Domini;

il primo maggio: festa del lavoro;

il giorno della festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo;

il giorno dell’Assunzione della B.V. Maria;

il giorno di Ognissanti;

il 4 novembre: giorno dell’unita nazionale;

il giorno della festa dell’Immacolata Concezione;

il giorno di Natale;

il giorno 26 dicembre.

Articolo 3, in vigore dal 1 giugno 1949

1. Sono considerate solennita civili, agli effetti dell’orario ridotto negli uffici pubblici e dell’imbandieramento dei pubblici edifici, i seguenti giorni:

l’11 febbraio: anniversario della stipulazione del Trattato e del Concordato con la Santa Sede;

il 28 settembre: anniversario della insurrezione popolare di Napoli.

Articolo 4, in vigore dal 1 giugno 1949

1. Gli edifici pubblici sono imbandierati nei giorni della festa nazionale, delle solennita civili e del 25 aprile, 1 maggio e 4 novembre.

Articolo 5, in vigore dal 1 giugno 1949

1. Nelle ricorrenze della festa nazionale (2 giugno), dell’anniversario della liberazione (25 aprile), della festa del lavoro (1 maggio) e nel giorno della unita nazionale (4 novembre) lo Stato, gli Enti pubblici e i privati datori di lavoro sono tenuti a corrispondere ai lavoratori da essi dipendenti, i quali siano retribuiti non in misura fissa, ma in relazione alle ore di lavoro da essi compiute, la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio. La normale retribuzione sopraindicata sara determinata ragguagliandola a quella corrispondente ad 1/6 dell’orario settimanale contrattuale, o, in mancanza, a quello di legge. Per i lavoratori retribuiti a cottimo, a provvigione o con altre forme di compensi mobili, si calcolera il valore delle quote mobili sulla media oraria delle ultime 4 settimane.
 

Chiude l’Hotel Chelsea, apre il mega residence

(18 agosto 2011) E' proprio vero, "incredibile quello che può fare il rock'n'roll". La Lonely Planet su New York City così abbozza un certo disappunto nel tracciare la consueta descrizione tra mito e decadenza del celebre Hotel Chelsea di Manhattan. Ma il rock'n'roll stavolta nulla ha potuto contro gli interessi di Joseph Chetrit, costruttore e nuovo proprietario dell'edificio. L'albergo dove nel 1953 Dylan Thomas ripassava la performance "Under Milk Wood" ora chiude definitivamente i battenti. Diventerà un residence di lusso, secondo le intenzioni del magnate che per acquistarlo ha versato 80 milioni di dollari. Dopotutto ridiventa quello che era, si potrà obiettare, ossia un palazzo con appartamenti e poco importa se nel 1883 sorgeva per iniziativa della prima cooperativa tra quaranta famiglie della città. Poco importa se Andy Warhol aveva consacrato l'hotel a lunga permanenza con il suo "Chelsea Girls" (1966). E se tra le ragazze di Chelsea si scorgeva anche Nico, o Christa Päffgen, piccola musa del maestro della Pop art e pure di Federico Fellini e di Bob Dylan. E poco importa se i vecchi gestori, signori Bard, non pretendevano il conto agli squattrinati coniugi Jeanne Claude e Christo dopo settimane in una delle stanze con balcone in ferro. E Sid Vicius e Nancy Spungen (ivi defunta) e Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, cosa direbbero? Poco importa. Se un museo, un po mausoleo e un po livre du voyage, di un lungo fantasticio viaggio, si spegne, poco importa. Non faceva più un soldo.

(walter falgio) 

Crisi profonda e necessità di capire

(10 agosto 2011) Sconcerta leggere della guerriglia londinese con i suoi 1200 arresti e delle borse europee che colano a picco. Inizialmente spaventa – ma poi induce ragionamenti che vanno oltre la reazione emotiva – assistere allo sconquasso sociale ed economico dell’Europa, con lo spettro del downgrade che ora si aggira in Francia e con l’incertezza degli analisti. Londra, è retorica dirlo, si trova dietro l’angolo. Come è dietro l’angolo Parigi e l’Africa mediterranea. Ragioni diverse (la Spagna è sicuramente altra cosa) ma non diversissime stanno spingendo angoli vicini del pianeta verso una rivolta che non è rivoluzione ma che ha il sapore dell’incertezza, di un futuro che riflette un presente nerissimo. Quasi tutti i commentatori parlano dei quartieri della metropoli inglese (da Tottenham in poi) in balia del disagio profondo, dove le condizioni di vita sono ai limiti di qualunque tolleranza. Se poi una miccia resistente (e l’uccisione del ragazzo nero lo è) innesca un simile detonatore di rabbia, il risultato si può immaginare e, ora, si vede. Trarre conclusioni adesso non ha senso e non serve. Sarà (come si dice) la storia a stabilire una qualche verità. Ma non si può non condividere la consueta, problematica lucidità di Adriano Sofri che parla drasticamente ma realisticamente di un “capitalismo nella sua agonia“. Di un sistema che frana, senza alternative apparenti, senza una via d’uscita. Siamo alle fasi finali di un “paradigma”, per dirla con Thomas Kuhn? I modelli del rilancio allo spasimo, del consumo vorticoso e malato, non possono funzionare, soprattutto per chi arranca tutti i giorni senza capire dove andare. Mutuo il concetto di modernizzazione regressiva espresso da Marco Revelli nel suo ultimo libro, per rappresentare, forse nel modo più eloquente, l’origine di un disagio, forte, epidermico che affligge credo molti, come me, ma che stimola anche un surplus di attenzione.

(walter falgio)    

Il bellissimo cielo grigio sopra Alda Merini

(8 agosto 2011) Leggere Alda Merini è sempre una catarsi. Pochi possono restare indifferenti a una sua poesia come "Laggiù dove morivano i dannati". Perché, prima di tutto, credo si tratti di merce oggi rarissima. "Di poeti ne nascono 3 o 4 in un secolo", diceva Moravia ai funerali di Pasolini. "I poeti sono scomodi come i fumatori", diceva la Merini, consapevole che la poesia non da il pane, convinta che la politica non è affar suo, "non mi piace star troppo seduta", e accesa sostenitrice di un approccio spontaneo, appassionatissimo e diretto alla vita. Recentemente "Io Donna" ha dedicato alla poetessa milanese un bel ritratto dove, in poche righe, gli autori Lucrezia e Giorgio Dell'Arti mettono in fila simboli, parole, visioni di una donna senza veli. L'apparente semplicità di alcune sue abitudini descritte mi ha fatto riflettere. Come la scelta di annotare i numeri di telefono sui muri di casa. Questo mette in luce una distanza abissale che ci separa da una donna come la Merini, che separa la nostra banale vita quotidiana con le nostre banali agende elettroniche, con gli indirizzi sincronizzati con la memoria digitale al posto di quella umana, dalla vita di una poetessa. Una distanza che già lo stesso Pier Paolo Pasolini, tra i primi critici della letterata (Una linea orfica, in "Paragone", n. 60, 1954, pp. 82-87), descriveva con stupore: "Di fronte alla spiegazione di questa precocità, di questa mostruosa intuizione di una influenza letteraria perfettamente congeniale, ci dichiariamo disarmati". Le tribolazioni e l'arte della Merini credo si originino da una miscela di scelte e costrizioni. Il confine sottile tra il fascino e l'entusiasmo di stare sotto un cielo grigio e il destino di subirlo ritengo sia una delle più forti suggestioni regalateci da questa grande poetessa del Novecento.

(walter falgio)               

Gian Giacomo Ortu sui tagli alla cultura

(5 agosto 2011) Sardegna Quotidiano pubblica questo bel servizio di Massimiliano Messina sulla vicenda dei tagli alla cultura operati dalla Giunta Soru. Lo segnalo perché non capita spesso di sentir parlare lo storico Gian Giacomo Ortu su questi temi e perché la vicenda dell'Istituto sardo per la storia della Resistenza e dell'Autonomia mi tocca molto da vicino. Una palestra culturale che tanto mi ha dato, sin dai primi anni Novanta, e che ritengo ancora un punto di riferimento importantissimo per la mia formazione. Il dibattito richiamato da Messina nel servizio è stato acceso da Vito Biolchini.

(walter falgio)