Archivio mensile:Dicembre 2008

Gli scritti del cavaliere dei Rossomori

Ripropongo questo mio breve ritratto di Emilio Lussu, pubblicato su L'Unione Sarda nel 2008, in occasione della presentazione del primo volume dell'Opera Omnia del leader politico curato da Gian Giacomo Ortu.

Da Armungia a Roma nel culto della libertà.  Lussu, il percorso politico e culturale riaffiora dalla riedizione degli scritti.

Emilio Lussu nasceva ad Armungia il 4 dicembre del 1890 da Giovanni, proprietario, e da Lucia Mereu, figlia di un commerciante di Quartucciu. Nel paesino del Gerrei il combattente, antifascista e leader politico tornerà, con la sua memoria, dopo 48 anni. Dopo dieci anni di esilio e dopo una malattia altrettanto lunga. «Ma senza nostalgia», scriveva. Perché «la nostalgia è un sentimento differente, un riandare verso la famiglia lontana, e il proprio paese, come bene perduto, ed è sofferenza profonda ».

Lui invece voleva sentirsi soprattutto libero, con l’accezione carica e lancinante che un esule può dare a questo termine. Una libertà fiera che non poteva lasciare spazio a rimpianto: «Ho invece sempre sentito il diritto civico di vivere libero nel mio paese, e di rientrarvi senza permessi speciali». E nei dintorni di Parigi, estate del 1938, negli stessi luoghi dove Jean-Jacques Rousseau scriveva “La Nouvelle Héloise”, Lussu pensava “Il cinghiale del diavolo”. Quel racconto di caccia, «tanto estraneo ai miei interessi culturali », che restituisce i contorni della Sardegna arcaica.

La stessa che Lussu ragazzo aveva fatto in tempo a conoscere e che da adulto sognava. Nel commento al racconto, scritto nel 1967, riconosceva che quella collettività montanara di contadini e pastori «senza classi e senza stato» era scomparsa e non era stata sostituita da una nuova civiltà più avan- E zata. Emilio Lussu lascerà questa Sardegna a 25 anni per partire al fronte della prima guerra mondiale, subito dopo la laurea in giurisprudenza. È giovane, interventista e chiassoso, come ricorderà in uno scritto del ’58: «La mia laurea era finita in dimostrazioni nell’aula magna e in piazza, con cariche di carabinieri a piedi e a cavallo». Ufficiale di complemento, guiderà la tragica esperienza della Brigata Sassari – due reggimenti, seimila effettivi, duemila caduti senza contare l’infinità di mutilati – verso un «auto-riconoscimento culturale e morale». Base feconda «che nel dopoguerra alimentò il movimento autonomista sardo», sottolinea Gian Giacomo Ortu nell’introduzione al primo volume dell’opera omnia di Lussu appena pubblicato da Aìsara.

L’arcipelago del combattentismo sardo già alle elezioni politiche del 1919 esprime tre parlamentari. Due anni dopo a Oristano nasce il Partito Sardo d’Azione che mette insieme tutte le anime del composito movimento dei reduci. Lussu è eletto deputato alle consultazioni del maggio del ’21 assieme a Pietro Mastino, Paolo Orano e a Umberto Cao. Lo stesso Piero Gobetti nella “Rivoluzione liberale” coglie una sintonia profonda tra il sardismo e il partito comunista: «La base della nuova vita italiana deve trovarsi nella costituzione di due partiti intransigenti, di opposizione ai programmi riformisti, rivoluzionari nella loro coerenza: il partito degli operai e quello dei contadini». Ma l’avvicinamento dei combattenti al fascismo spegnerà, anche in Lussu, l’aspirazione originaria di creare un movimento del proletariato sardo in chiave autonomista.

Il 7 giugno del 1924, tre giorni prima della scomparsa di Giacomo Matteotti, Lussu denuncia inequivocabilmente i mali del fascismo: «O dittatura o legalità. È necessario che il paese sappia quello che veramente voi siete. Di fronte alla vostra decisione sta la nostra decisone: o congiura o aperta lotta politica». La dittatura spedisce Lussu al confino, nell’isoletta di Lipari. Dopo una fuga romanzesca con Carlo Rosselli, dà vita in Francia al movimento “Giustizia e Libertà”. Nell’agosto del ’43 rientra in Italia e partecipa alla Resistenza.Assieme a Ugo La Malfa anima il Partito Italiano d’Azione. Costituente, ministro, aderisce al Partito socialista e al Partito socialista di unità proletaria. Muore a Roma il 6 marzo del 1975. «Alto e fiero, asciutto, con una barba impertinente, dal gesto rapido – ma non la spavalderia – del moschettiere », scriveva di lui Antonio Spinosa.