Gli zingari uccisi da Hitler
nell’Europa della seconda
guerra mondiale furono
oltre 90mila. A questi si aggiunga
una quantità di vittime provenienti
da Unione Sovietica, Serbia
e Ungheria, ancora difficile
da quantificare. Si conterebbero
così almeno 200mila morti. I numeri
sullo sterminio di Rom e
Sinti, i gruppi etnici presenti nell’area
germanica, con molta probabilità
sono destinati a crescere
perché ad oggi la storia della
persecuzione nazista per motivi
razziali degli zingari è in buona
parte da scrivere. «Esistono solo
stime approssimative del numero
di zingari trucidati durante
la Seconda guerra mondiale»,
sottolinea Michael Zimmermann,
uno dei massimi esperti
in materia.
Questo capitolo della
pratica del genocidio nazista,
marchiato in lingua romanes
con la parola Porrajmos, è stato
aggiunto di recente sui libri dedicati
alla Shoah. Ed è stato assunto
a pieno titolo come tema
centrale del Giorno della Memoria
che si celebrerà a Cagliari venerdì
1 febbraio su iniziativa
dell’Università, delle scuole e
dell’Istituto per la Resistenza.
Recentissimamente sono affiorati
anche i contorni della
persecuzione dei Rom messa in
atto dai fascisti.
Dagli studi di
Mirella Karpati e Giovanna
Boursier si scopre che l’Italia del
ventennio mise in piedi una politica
di persecuzione degli zingari
e che la Sardegna fu una
delle destinazioni per i deportati.
Le parole di Rosa Raidic riprese
nella rivista Lacio Drom
sono: «Mia figlia Lalla è nata in
Sardegna a Perdasdefogu il 7
gennaio 1943, perché eravamo
lì in un campo di concentramento
».
Si tratta di una delle rare testimonianze
di una zingara internata
sotto il fascismo. Difficile
pensare però che a Perdasdefogu
esistesse un vero campo di
concentramento attrezzato. È
invece molto probabile che alcuni
zingari deportati si fossero
G
stabiliti nel paese sardo in presenza
di un campo di internamento
o di sosta spontaneo.
Carlo
Spartaco Capogreco, nel libro
I campi del duce pubblicato da
Einaudi, non conferma questa
ipotesi mentre ritiene, con le parole
di Annamaria Masserini,
che gli zingari «si disperdessero
nell’interno dell’isola e che badassero
a se stessi». È certo
dunque che a partire dall’11 settembre
del 1940, data di una
circolare del ministero degli Interni
che ordina rastrellamenti
e concentramenti di zingari in
tutto il Paese, la Sardegna fosse
stata scelta come sede di internamento.
Lo storico Claudio Natoli
precisa: «È ormai documentata
l’esistenza di campi nel Molise,
a Boiano e Tossicia, dove le
condizioni erano particolarmente
degradanti, e ad Agnone, ma
si riscontrano internamenti di
Rom anche alle Isole Tremiti, a
Perdasdefogu in Sardegna e nel
grande campo di Ferramonti, in
provincia di Cosenza».
La persecuzione e lo sterminio
dei Rom in Europa durante
l’ultima guerra affonda le radici
in un pregiudizio antico che per
quanto riguarda la Germania
passa anche attraverso le pratiche
discriminatorie dell’Impero
guglielmino dei primi del Novecento.
Un pregiudizio che oggi
sarebbe falso definire sopito. Secondo
Hitler i Rom come gli
ebrei dovevano essere annientati
dopo aver subito la disumana
violenza della deportazione.
L’escalation dell’orrore prende
avvio nel 1933 con le sterilizzazioni
di massa e gli internamenti.
Considerati inizialmente “asociali”,
gli zingari della Germania
furono ben presto classificati di
razza inferiore e corrotta, affetti
da criminalità ereditaria, in
virtù di farneticanti tesi dell’eugenetica
e dell’antropologia positivistica.
I campi di concentramento
cominciarono a riempirsi
di persone bollate come mendicanti,
cartomanti, indovini, accattoni,
vagabondi. A dicembre
del 1938 arrivò il primo decreto
contro la “piaga degli zingari”
emanato dal comandante delle
forze di sicurezza del Reich,
Heinrich Himmler. Il terrore della
pulizia etnica nazista sfociò
nelle deportazioni di massa verso
i campi di sterminio.
Nel
1941 cinquemila Rom rinchiusi
in condizioni estreme nel ghetto
polacco di Lodz furono gasati
nel campo di sterminio di Chelmo.
Alla fine del ’43 Himmler
autorizzava la deportazione di
oltre 14mila Sinti tedeschi ad
Auschwitz. Anche per gli zingari
si aprivano i cancelli del terrificante
universo concentrazionario.
La strada verso la disumanizzazione
e l’annientamento
di tutta la persona era segnata.
Ad Auschwitz i bambini Rom
furono sottoposti agli esperimenti
di Josef Mengele. Alcune
storie raccapriccianti sono raccontate
da Barbara Richter, cavia
dell’“angelo della morte” e
testimone delle sue atrocità: «Il
dottor Mengele mi ha presa per
fare esperimenti.
Per tre volte mi
hanno preso il sangue per i soldati.
Allora ricevevo un poco di
latte e un pezzetto di pane con il
salame. Poi il dottor Mengele mi
ha iniettato la malaria. Per otto
settimane sono stata tra la vita e
la morte…». E ancora: «Ricordo
in particolare una coppia di gemelli.
Guido e Nina di circa quattro
anni. Un giorno Mengele li
portò via con sé. Quando ritornarono
erano in uno stato terribile.
Erano stati cuciti insieme,
schiena contro schiena, come i
siamesi». Nessuno dei 300 bambini
Rom nati ad Auschwitz sopravvisse.
Anche questo è stato Porrajmos,
la distruzione totale. Come
Shoah, questa parola rappresenta
la fine della civiltà e l’abisso
dell’orrore. Una storia negata,
«persino evitata e trascurata
», dice Boursier. La prima giornata
di commemorazione dei
Rom e Sinti sterminati dal nazismo
si è svolta al museo dell’Olocausto
di Washington soltanto
nel 1994.